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Gianni Rodari

Dal Vampiro di Düsseldorf alla preponderanza nell’Eurozona. I rancori collettivi della Germania

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La Germania suscita periodicamente rancori collettivi. Da ultimo per via della sua preponderanza nell’Eurozona, cui la Grecia adesso tenta di opporre un contenzioso che risale a settant’anni fa. Ma la rincorsa della Storia troppo ovvia e della cronaca spettacolarizzata oblitera un nucleo antropologico più complesso che si potrebbe definire l’anima nera tedesca, i cui segni più atroci si ritrovano prima ancora del nazismo negli anni fra le due guerre. Dopo i bagni di sangue delle trincee, la carneficina era impressa nell’inconscio collettivo dei popoli europei che avevano preso parte al primo conflitto mondiale. Per i tedeschi, tornati a casa trovando dapprima i disordini della rivoluzione spartachista e poi l’instabilità cronica e l’inflazione di Weimar, che deprivava il marco di valore alla velocità della luce, cominciava il Lustmord, l’ondata di crimini a sfondo sessuale e antropofago.

Erregung, Empörung e Knalleffekt

Friedrich Heinrich Karl Haarmann

Friedrich Heinrich Karl Haarmann

Il clima di panico e insicurezza poteva riassumersi in tre parole chiave: Erregung, Empörung e Knalleffekt. Al primo posto l’eccitazione, che sorgeva da un processo psicotico di assimilazione del sangue alla libidine. Il pubblico reagiva con l’ Empörung, l’oltraggio, lo sdegno. Mentre sui giornali si verificava il Knalleffekt, la dirompenza, oggi si direbbe la conquista dello spazio mediatico. Il XX secolo, il secolo della comunicazione istantanea e allargata, nasce imprimendo già nelle proprie generazioni l’attitudine al perfetto utilizzo dei mass-media. I processi divengono per i colpevoli tribune dalle quali esibirsi. In anticipo sul cinema, il sangue sgorgato prima sui campi di battaglia e poi sulle barricate e per le strade percorse dalla lotta di classe dilaga nell’arte figurativa di Otto Dix e George Grosz, che in una foto posa da Jack lo Squartatore.

Nel 1921 l’orrore conquista i titoli della stampa germanica con le imputazioni mosse a Wilhelm Grossmann, il Barbablù della Ferrovia della Slesia, accusato di avere ucciso e cannibalizzato 14 donne. Il 19 dicembre 1924, alle 10 del mattino, dinanzi alla Corte di Assise di Hannover, Friedrich Heinrich Karl Haarmann, detto Fritz, veniva condannato a morte con 24 diverse sentenze. L’imputato dichiarava: «Voglio essere giustiziato sulla piazza del mercato. Sulla lapide dev’essere apposta questa iscrizione: “Qui giace il pluriomicida Haarmann”». La corte rigettò entrambe le richieste e l’uomo fu decapitato nel cortile della prigione di Hannover. Le imprese di Haarmann erano venute per prima alla luce il 17 maggio dello stesso anno. Dei bambini che giocavano sulle rive del fiume Leine, nei pressi del castello di Herrenhausen, si imbatterono in un teschio, alla cui scoperta si sommò quella di un altro resto analogo, il 29 seguente. Il 13 giugno saltarono fuori altri due crani tra i depositi limacciosi sul fondale del corso d’acqua. Scoppiò il panico.

Hannover oggi

hannover bombardamentiHannover, capoluogo della Bassa Sassonia, ha oggi 520 mila abitanti, completamente distrutta e ricostruita dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Durante gli anni ’20 era una delle città più impoverite, fino agli stenti e alla fame, nella Germania annientata dagli effetti economici delle sanzioni seguite alla Pace di Versailles. Qui si vedeva la Repubblica di Weimar ai livelli più infimi di qualità della vita collettiva. Ancor peggio in una municipalità che aveva conosciuto l’eleganza e l’agiatezza dei tempi migliori. Dall’autopsia dei macabri reperti, si evince che i primi due crani sono quelli di giovani di età compresa tra i 18 e i 20 anni. L’ultimo appartiene addirittura a un bimbo dodicenne. I crani sono stati recisi con un utensile affilato e completamente scarnificati. All’inizio, li si ritengono provenienti dall’Istituto di Anatomia di Gottinga, in una replica nel presente delle prodezze di Burke e Hare. Dei ladri di cadaveri hanno gettato i crani nel fiume nel corso di una fuga? L’ipotesi non viene dimostrata. Nel frattempo, altri ragazzi estraggono da una zona paludosa un sacco pieno di ossa umane e comincia un’escalation di sparizioni. Nel 1923 si segnala in tutto la scomparsa di 600 fanciulli, in larga parte di età compresa tra i 14 e i 18 anni. Circolano boatos sulla disponibilità di carne umana in vendita. Si scatena la caccia al mostro, definito da alcuni lupo mannaro, da altri cannibale. La Leine diviene letteralmente un fiume di sangue. Vi si recuperano ossa e 500 resti umani che si attribuiscono a 22 individui, tutti tra i 15 e i 20 anni. La delinquenza comune di Hannover viene sottoposta a pressioni insostenibili. Fino alla cattura di Fritz Haarmann. Commerciante di abbigliamento e di carne, omosessuale schedato, ha la solita apparenza di insospettabile. Un faccione tranquillo, modi gentili, tanta cordialità e baffetti castani. Non tarda però ad emergere la sua natura dissociata. Dinanzi alle autorità ha improvvisi cambi di tonalità, che accennano all’isteria. Anche l’atteggiamento oscilla dalla sicurezza al nervosismo. Le movenze sembrano talvolta quelle di una “vecchia signora”, della quale Haarmann condivide certi vezzi, in particolare quello della cucina. Fu smascherato anche un suo complice, Hans Grans, giudicato responsabile di istigazione per due delitti.

La saga dei feroci accanimenti sanguinari

La saga antropofaga di Haarmann si intreccia cronologicamente con quella di Vater Denke, “papà Denke”, ovvero Karl Denke, lo Sterminatore di Münsterberg. Infame gloria postuma, la sua. Perché le autorità di polizia ne compresero la portata criminale soltanto dopo il suicidio in carcere, commesso peraltro quasi a ruota rispetto all’esecuzione di Haarmann. Fu grazie a una sorta di confessione burocratica. Alla stregua degli aguzzini nazisti del decennio successivo, Denke teneva infatti una maniacale contabilità scritta del peso corporeo di quelli che uccideva. Fu catturato solo in seguito alla denuncia di un giovane sottrattosi fortunosamente all’aggressione del maniaco dopo avere bussato alla sua porta per chiedere l’elemosina. Malgrado i secchi di sangue che versava nel cortile e gli sgradevoli odori che giungevano dal suo appartamento, i vicini non nutrivano il minimo sospetto sull’affettuoso Vater Denke. Al momento del suicidio, lo Sterminatore di Münsterberg era soltanto indiziato e non formalmente accusato. Dalle sue carte si poté ricostruire un’attività omicida prolungatasi per vent’anni, con almeno trenta vittime. Delle quali vennero ritrovati nella sua abitazione sinistre rimanenze. Il feroce accanimento sanguinario di Grossmann, Haarmann e Denke si staglia quale disumano preludio ai delitti del vero protagonista, Peter Kürten, il Mostro di Düsseldorf, cui sarebbe andata la dignità cinematografica del capolavoro diretto da Fritz Lang nel 1931. Dopo la cattura, si dichiarò colpevole della morte di 35 persone, in prevalenza donne e bambini. Al contrario di Denke, Kürten non viveva da solo, era sposato e aveva un regolare impiego.

Il Vampiro di Düsseldorf

Peter Kurten

Peter Kurten

Le circostanze della sua cattura si tingono di casualità, fatalismo e brama sessuale. Il 14 marzo del 1930 Peter Kürten salva addirittura la domestica disoccupata Maria Budlick da un tentativo di violenza carnale. Peccato poi sia lui stesso a tentare di approfittarne, condottala nel proprio appartamento di Mettmanner Strasse. La ragazza rifiuta e l’uomo l’accompagna nel parco di Grafenberger, dove la costringe finalmente a subire un amplesso, cui lei non oppone resistenza. La Budlick scriverà dell’episodio in una lettera consegnata per errore a un’altra destinataria, che la recapita alla polizia. Maria viene convocata, interrogata e per il suo tramite si risale all’appartamento di Kürten, dove la ragazza viene scortata dall’Ispettore Capo Gennat e due agenti in borghese. Introdotta dall’affittuaria, la Budlick riconosce l’abitazione e sopraggiunge l’uomo che l’ha stuprata. Kürten riesce e si allontana frettolosamente con il cappello calato sugli occhi. Rendendosi conto di rischiare 15 anni di lavori forzati per il reato sessuale, decide di confessare alla moglie dell’affaire con la Budlick. La donna è disperata al pensiero di restare priva di mezzi di sostentamento qualora il marito venga arrestato. Allora lui le confessa ogni cosa: è il Vampiro di Düsseldorf che ha imperversato sulle prime pagine. Se lei lo denuncerà alla polizia, otterrà una ricompensa. A malincuore, Frau Kürten racconta la verità alle forze dell’ordine. È il 24 marzo del 1931. La donna ha fissato un appuntamento con il marito dinanzi alla chiesa di St. Rochus. La zona è circondata. Kürten non oppone resistenza.

Sul Vampiro di Düsseldorf si appuntava un’immensa aspettativa popolare di giustizia, direttamente proporzionale all’efferatezza dei suoi delitti. A partire dal primo, commesso a Colonia il 25 maggio del 1913, dopo l’irruzione in una locanda di Wolfstrasse. “Aprii diverse porte”, dichiarerà Kürten al processo, “e non trovai niente che valesse la pena di rubare; ma in un letto vidi una bimba di 10 anni che dormiva, coperta da uno spesso piumino d’oca”. L’istinto omicida lo ispira. La strangola con entrambe le mani, introduce due dita nei genitali della piccola e la sgozza con un temperino che ha con sé. Gli schizzi del sangue sono rumorosi e per Kürten acquistano un fascino perverso. Terminata la barbarie dell’assassinio, l’uomo torna a Düsseldorf. Kürten, successivamente, rilascerà una diligente confessione allo psicologo Karl Berg, che ne ricaverà il testo più completo sul Vampiro di Düsseldorf, Il sadico. «Da queste visioni ricavavo quel tipo di piacere che ad altri deriva dal pensiero di una donna nuda”. Il Vampiro di Düsseldorf fu giustiziato sulla ghigliottina, anche lui nel cortile della prigione dov’era detenuto, quella di Klingelputz. Mentre andava al patibolo, domandò allo psichiatra se dopo la decapitazione avrebbe comunque potuto sentire il sangue scrosciargli dallo spuntone del collo: “Sarebbe il piacere definitivo”.

Enzo Verrengia

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