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Gianni Rodari

Il direttore Finaldi a FQ: “Modernizzare i musei. Le istituzioni siano a favore della riforma”

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finaldi“Mi prometta che non andrà via senza aver visto la mostra di van der Weyden”. Questa la concisa e garbata conclusione di Gabriele Finaldi alla mia intervista: il direttore aggiunto del Museo del Prado dal 2002, appena eletto direttore della National Gallery di Londra, mi trasmetteva così la sua grande passione per l’arte. E non me la sono sentita di deluderlo, e al Prado ho visto una mostra “preciosa” e “impresionante” come direbbero in Spagna, una mostra “straordinaria” come mi ha detto nel suo italiano perfetto Finaldi. Padre napoletano (spesso ritorna in Italia dove lo aspetta “una splendida famiglia”) e madre anglo-polacca, è nato a Londra nel 1965, ha studiato in Inghilterra e in Italia, ma si è laureato presso il Courtauld Institute of Art di Londra in Storia dell’Arte, conseguendo poi un dottorato sulla vita e l’opera si José de Ribera.

Giovanissimo, nel 1992 viene nominato curatore della pittura italiana e spagnola alla National Gallery, e a soli 36 anni chiamato come direttore aggiunto al Museo del Prado. Spiega quanto sia felice di ritornare alla National Gallery come direttore: “In parte per me è un ritorno a casa, è un’istituzione per cui nutro grande affetto, grande rispetto”. Ma è anche triste di lasciare la Spagna e Madrid “dove sono stato stato molto contento”. Per lui “ambedue le istituzioni hanno collezioni veramente meravigliose. Quindi si parte da una fortissima base in entrambe e la collaborazione che le legherà sarà continua”. In Spagna Finaldi è considerato “El reinventor del Prado” ed in effetti lo ha rivoluzionato: “La riforma fatta al Museo del Prado in parte è stata modellata sulla National Gallery, che ci è servita da esempio per la ristrutturazione e la riorganizzazione”. In questi anni è cresciuto il numero del personale ed è migliorata la situazione economica; nel 2003 una nuova legge del Prado conferiva una maggiore autonomia all’istituzione dal punto di vista economico e contrattuale.

È stato messo in funzione un programma molto ambizioso di esposizioni che ha avuto inizio con la grande mostra su Tiziano nel 2003, e nel 2007 è stato ampliato il Museo. Si è dato un grande impulso alla ricerca e nel 2008 è stato inaugurato il centro studi dove si realizza il lavoro di ricerca accademica; il nuovo edificio è stato dedicato al restauro e alle esposizioni temporali. Sono stati anche creati nuovi spazi di accoglienza per i visitatori ed il Museo è diventato molto più professionale e risolve le necessità del pubblico in maniera più diretta e intelligente. Quando ad agosto prenderà le redini della National Gallery, Finaldi sa già che la troverà “molto ben formata, ben stabilita, ben organizzata, con dei bisogni che sono sfide, e che hanno a che fare con la organizzazione interna, con i programmi”. La prima mostra che inaugurerà ad ottobre sarà sui ritratti di Goya. Ma sta anche preparando una mostra sui disegni di Ribera, pittore spagnolo (1591-1652), attivo soprattutto a Napoli, che sarà celebrata al Prado alla fine dell’anno prossimo. “Lavoro fondamentalmente sul ‘600 italiano e spagnolo e ho cercato sempre anche di mantenere questa attività nonostante le responsabilità del Museo. Alcune mostre le faccio io direttamente come commissario, sono poche perché questo è un lavoro dei conservatori, ma con molto piacere ricordo la mia recente mostra su Esteban Murillo; tra quelle fatte dai colleghi e collaboratori importante quella sul Tintoretto, e attualmente una su Rogier van der Weyden, fra le più belle in Europa”.

Riguardo al rapporto dei cittadini con i musei e le opere d’arte ritiene che se in Inghilterra il pubblico è molto legato alle collezioni permanenti anche perché i musei nazionali sono gratuiti, “c’è unfinaldi legame speciale fra i cittadini e le istituzioni museali”, in Spagna sono le mostre temporali ad attirare il pubblico: “Gli spagnoli risentono più il fascino e l’eccitazione di guardare qualcosa di nuovo”. Sulla perplessità riguardo all’amore per l’arte dei cittadini italiani risponde: “Noi ammiriamo l’Italia perché fin da piccoli ci trasmettono una naturale familiarità con le bellezze delle opere d’arte, con le piazze, le chiese, gli edifici, le statue, le fontane e i musei. E’ per questo che forse gli italiani sono così abituati a vivere fra tanta bellezza che forse i musei non attirano tanto, ma – sottolinea – tenga conto che l’Italia ha il maggior numero di musei d’Europa, una presenza museale molto forte”.

Finaldi non è stato mai chiamato a dirigere un museo italiano: “L’Italia per me è un paese molto speciale e attraente e ho cercato di portare avanti numerosi progetti insieme alle sue istituzioni; è un paese dove si può collaborare con grandi risultati. Ci sono direttori di musei molto bravi, spesso però hanno poca autonomia e pochi fondi per sviluppare i loro progetti, ma certamente il personale è molto qualificato. In questo momento c’è una riforma abbastanza ambiziosa del tema museale italiano che vuole in un certo senso modernizzare queste istituzioni, dare loro maggiore autonomia e anche più poteri decisionali ai direttori. Bisogna vedere se si appoggeranno le istituzioni fino in fondo per questa riforma”. Questo l’augurio che fa ai nostri musei.

Stefania Miccolis

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