La mutilazione per cui la vita perdette quello che non ebbe mai,
il futuro, rende la vita più semplice,
ma anche tanto priva di senso.

Italo Svevo

L’ Isis rompe con le tribù irachene e cresce di mille men in black stranieri al mese

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Lo strappo tra l’Isis di al-Baghdādī e le potentissime tribù irachene si è ormai consumato. Il Califfato si sente sempre più potente e forte e cresce di mille miliziani stranieri a mese. Un’armata di sbandati che sognano di diventare eroi sanguinari, men in black di un grande e atroce real game.

Lo strappo tra l’Isis di Abū Bakr al-Baghdādī e le potentissime tribù irachene si è ormai consumato. Il Califfato si sente sempre più forte e invicibile mentre le sue fila crescono di mille miliziani stranieri a mese. Sono le cifre diffuse dalle intelligence occidentali e confermate dalle Nazioni Unite. In tanti  arrivano in Medio Oriente dall’Europa, dall’America e dall’Oceania e dall’Asia, non per portare aiuto alle popolazioni colpite dalla guerra civile,  ma per indossare le inquietanti divise nere  dei sanguinari combattenti dello Stato Islamico.

I raid non fanno paura agli sbandati che arrivano dall’Occidente per partecipare all’atroce real game 

Airland battle

Airland battle

Le bombe sganciate dai droni di Barack Obama e dei suoi alleati non fanno paura ai giovani che arrivano ogni giorno in questa regione del pianeta. Un po’ perché a casa loro non hanno niente da perdere  e un po’ perché qui invece possono diventare protagonisti del più atroce real game del mondo. Dall’inizio dei raid il flusso non si è infatti per niente allentato e sarebbero ormai oltre 16 mila i soldati della morte conquistati alla causa dell’islam più intransigente e violento. Un fenomeno, che non ha precedenti, come confermano anche un rapporto dell’Onu e un sondaggio condotto dal Times in Gran Bretagna su un campione di 2 mila giovani di età inferiore ai 25 anni, non musulmani. Insospettabile il dato che ne è emerso: un ragazzo inglese su sette ha confessato di provare forte simpatia per  i miliziani dell’Isis.

Le motivazioni? Secondo gli analisti, questa risposta non sarebbe stata dettata da ragioni politiche, ma indotta piuttosto da ammirazione per l’arroganza e la forza dei guerrieri dello Stato Islamico; dall’ignoranza di ciò che avviene nel mondo; dalla sfiducia in quello che raccontano i media; dal senso di ribellione nei confronti dell’ establishment; dal bisogno di appartenza ma anche di obiettivi, obiettivi per i quali vivere, battersi e anche morire.

isis

La sfilata del terrore

L’Isis promette a tutti di diventare eroi 

L’Isis promette agli sbandati e ai senza futuro dei nostri giorni di diventare eroi, guerrieri nel nome di Dio, difensori della terra dei diseredati. Così si rafforza ogni giorno di più e ogni giorno di più diventa violenta e autonoma, anche là dove, fino a pochissime settimane fa, era il braccio armato di altri poteri. Lo Stato islamico è sfuggito al controllo delle potentissime tribù irachene della regione di Al-Anbar che avevano creduto di poter strumentalizzare le milizie jihadiste di desperados per riprendersi il paese. I guerriglieri del Califfato si sono messi in proprio e hanno mollato le qabile con le quali si erano alleati inizialmente.

 

 

Ayatullah-Sistani-RA

Ayatullah-Sistani-RA

Eccidio sunnita a ovest di Baghdad. L’appello dell’ayatollah sciita al Sistani a fare quadrato contro l’Isis 

I morti non si contano. Questa settimana i men in black del terrore hanno decapitato oltre 220 esponenti  di una delle più importanti tribù sunnite, sottraendole l’antica egemonia sui vasti territori a ovest di Baghdad. Un ennesimo bagno di sangue che si è consumato nell’indifferenza dell’Occidente e delle potenze islamiche alleate con gli Stati Uniti ma che è la conferma di una svolta importante in atto all’interno della strategia del terrore dell’Isis: è la prova della definitiva rottura della santa alleanza con le qabile irachene e l’inizio di una nuova fase che apre a scenari inediti e conferma l’assoluta inefficacia della reazione americana. E non va sottovalutato neppure l’ insolito appello lanciato al governo di Baghdad e ai fedeli da Alī al-Husaynī al-Sīstānī , la più alta guida spirituale e politica sciita dell’Iraq, capo della hawza (il territorio del sapere)  di Najaf .

Il paese non ha futuro se non supera divisioni religiose e non riparte dalle qabile 

L’ayatollah ha invitato tutti davanti a questo ultimo orrore a rendere omaggio alle vittime, anche se di una fazione tradizionalmente avversaria, e a fare quadrato contro i miliziani dell’Isis. Ha invitato i suoi seguaci a superare ogni rivalità con la popolazione sunnita e a sconfiggere il vero nemico dell’islam, il Califfato.  Lo ha fatto per iscritto in una nota che è stata letta nella moschea di Kerbala e in tutte le moschee sciite del Paese durante la preghiera del venerdì. Una presa di posizione forte. Una chiamata dalla quale il Paese potrebbe ripartire con il contributo e il pieno sostegno delle tribù  che costituiscono l’ossatura stessa dell’Iraq, il suo tessuto storico e culturale, che neppure il regime di Saddam Hussein  è mai riuscito a cancellare: 30 clan, federati in qabile, che governano oltre 150 ‘ashire. Questo l’unico futuro possibile, l’unica alternativa di Baghdad ai soldati della morte.

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