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Gianni Rodari

James Ellroy, omologazione e correttezza politica la “patologia dell’arte”

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“Fuck computers”, James Ellroy non corrisponde di certo all’immagine dello scrittore di successo ma piuttosto a un cowboy o un ruvido detective uscito da uno dei suoi romanzi. Lo scrittore di best sellers come Black Dahlia, L.A. Confidential, White Jazz non risparmia al pubblico esultante di “Libri come” – la festa del libro che si è chiusa domenica scorsa all’Auditorium di Roma, a cura di Marino Sinibaldi – una serie di improperi e parolacce. Alla volta, nell’ordine, della tecnologia cui addebita l’assuefazione alle immagini veloci a discapito di un “arte meditativa” (“scrivo solo a penna, fuck i computer”), del cinema cult con un fantozziano (“Citizen Kane è una cavolata pazzesca, rappresenta una versione dell’America vista da un ventiquattrenne obeso” il riferimento, mica tanto velato, è al mostro sacro del cinema Orson Welles) e della sua città d’elezione, Los Angeles (“la geografia significa qualcosa, il destino mi ha fatto capitare nell’apogeo del cinema, o se fossi di qui invece di L.A. Confidential fosse avrei fatto la Dolce vita”). E via di questo passo.

La “patologia dell’arte”

Ellroy

James Ellroy

Del resto, per sua stessa ammissione, lo scrittore amato da Hollywood tanto che dai suoi libri sono stati ricavati film di grande successo, non ama omologazione e correttezza politica che definisce una “patologia dell’arte”: “L’idea che gli esseri umani debbano essere rappresentati secondo stereotipi è riduttivo e amorale, questo è quello che in genere avviene nel nostro cinema”. Di questo gigante dagli occhi furbi e dal carattere travolgente, cui i fan non risparmiano ovazioni, è appena uscito l’ultimo lavoro “Perfidia”, edito da Einaudi (ma il pubblico non si lasci fuorviare, la parola in spagnolo significa tradimento), un “accoppiamento di mostri” come lo definisce l’autore. Il primo di una tetralogia ambientata a Los Angeles durante la Seconda guerra mondiale con personaggi sia di finzione che reali, alcuni dei quali provenienti dalla prima tetralogia ambientata nell’America degli anni ’50, tra cui la mitica protagonista di Black Dahlia.

I “grandi romanzi storici” di James Ellroy

Nei suoi libri si affastellano vizi e tradimenti che attraversano la città californiana, ma guai a chiamarli noir, per lui sono “grandi romanzi storici”. E proprio al noir, e alla sua perpetua sottovalutazione, era dedicata la giornata del 14 marzo che prevedeva nel pomeriggio anche l’incontro con lo scrittore francese Pierre Lemaitre, tra i pochissimi autori noir ad aver vinto il prestigioso premio Goncourt con lo splendido “Ci rivediamo lassù”, che presentava il suo Irene, edizioni Mondadori, appena uscito in Italia. “C’è difficoltà ad accettare il noir come un vero e proprio genere. Io sono il terzo scrittore noir che riceve il premio ma sempre con un libro che noir non era (ma al critico D’Orrico che obiettava come il libro non sia poi così lontano dal noir riserva un sorrisetto). Anche il termine “romanzo popolare” alla critica non piace granché “spesso ha un’accezione negativa perché si riferisce a qualcosa che piace a tutti. Ma attenzione, il romanzo popolare piace a tutti ma non per gli stessi motivi”.

libri comeSegue un bignami del perfetto scrittore ( e non solo di genere), a partire dalla distinzione tra romanzo poliziesco: “Un libro con un crimine e un colpevole” e un noir: “ Descrive una realtà sociale in modo abrasivo”. In ogni caso il giallo è “l’unico libro che inizia sempre dalla fine e con vincoli molto solidi da rispettare: ci vogliono suspense, false piste, indizi, prove ecc. Ecco, un buon noir è uno slalom tra questi paletti”. Qui si parla di letteratura a 360 gradi: “La letteratura è una macchina per capire il mondo. Ecco a cosa servono gli artisti, ecco a cosa servono gli scrittori: a descrivere qualcosa che chi legge non riusciva a descrivere con le parole giuste”. Mentre di sé dice: “sono un orologiaio, nel senso di artigiano. Scrivere è tecnica pura: non basta immaginare una storia, bisogna farla vedere e questa è tecnica, per scrivere un libro come Ci rivediamo lassù ci ho messo tre settimane e poi 18 mesi di correzioni. Capisco che non è una descrizione affascinante dello scrittore ma è così”.

“Non credo nell’invenzione ma nel riciclaggio”

E conclude con il suo personale concetto di scrittura: “non credo nell’invenzione ma nel riciclaggio, nel senso che l’autore ricicla continuamente quello che ha visto, sentito e letto”. Del resto, come ammette, anche questa affermazione è riciclata: “Roland Barthes diceva ‘uno scrittore è una persona che adegua le citazioni togliendo le virgolette’”. Una grande lezione di letteratura e d’umiltà per i tanti scrittori di casa nostra.

Laura Landolfi

L'Autore

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