Che ognuno avrà il futuro che si conquisterà.

Gianni Rodari

#JOBSACT. LA RESA DEI CONTI E’ SOLO RINVIATA

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Lanci di libri, monetine brandite, urla, sospensioni, minacce di occupazioni e caos. Il D-day interminabile sul Jobs Act si è concluso all’una di notte sì con la fiducia di palazzo Madama (con 165 sì, 111 no e 2 astenuti) ma la resa dei conti all’interno del Pd stesso e tra il governo, le opposizioni e i sindacati è solo rinviata. Una giornata, quella di ieri, iniziata nelle prime ore con il “giallo” sulla presenza o meno dell’articolo 18 all’interno del maxiemendamento presentato dal governo al Senato: tant’è che in tanti avevano visto una sorta di apertura alle istanze della minoranza Pd da parte del premier, mentre altri denunciavano l’impossibilità di votare una “delega in bianco” al governo su un tema così complesso come il lavoro.

Dopo la nota di Palazzo Chigi però – che ha assicurato la presenza del superamento dell’articolo 18 all’interno della delega al governo assieme all’introduzione delle tutele crescenti – è iniziato il caos: in Aula i senatori del M5S hanno contestato duramente la relazione del ministro del Lavoro Poletti («C’è la drammaticità e l’urgenza di agire per cambiare insieme e velocemente» aveva affermato invano il ministro), con tanto di sospensione della seduta ed espulsione del capogruppo grillino Vito Petrocelli, mentre in piazza Maurizio Landini, leader della Fiom, ha minacciato l’occupazione delle fabbriche come forma estrema di protesta. Stesso trattamento è stato riservato al ministro delle Riforme Boschi quando ha annunciato il voto di fiducia con i gesti plateali di Lega Nord e 5 Stelle.

Una misura, questa sul lavoro, che Matteo Renzi ha voluto portare all’approvazione (e contro una parte del partito) a tutti i costi per potersi presentare a Milano al vertice Ue sul lavoro con quel segnale sulle riforme – per i detrattori quello “scalpo” portato alla corte dell’Ue – tanto atteso a Francoforte e a Berlino. Durante tutta la giornata Futuro Quotidiano ha seguito tre “scontenti”, per tre motivi diversi, del Jobs Act del governo.

Fassina: “Resa della minoranza? La battaglia continua alla Camera”

fassinaOcchi puntati ovviamente, durante le sessioni della giornata, all’atteggiamento della minoranza Pd che, alla vigilia del voto, tra aperturisti e ortodossi aveva manifestato tutta la sua contrarietà all’eventualità del voto di fiducia. Preso atto ciò la minoranza ha risposto ieri presentando un suo documento al Jobs act firmato da 26 senatori e 9 deputati, membri della Direzione Pd. Interpellato dal nostro giornale sulla questione Stefano Fassina – uno degli esponenti più critici di Renzi all’interno del Pd – ci spiega come “il documento non chiude la partita. Al contrario, la riapre in vista di ciò che avverrà alla Camera”. Secondo l’ex sottosegretario all’Economia ciò che viene presentato dalla minoranza “serve a specificare che nel merito le posizioni sono diverse e a denunciare l’atteggiamento grave del governo che col voto di fiducia ha inteso bloccare l’iniziativa parlamentare sugli emendamenti”. Il voto di fiducia della minoranza, insomma, segna solo un passaggio tattico non una resa a Renzi sul tema del lavoro: “Con il documento una parte significativa del Pd e più in generale del nostro mondo denuncia come non capisce e non condivide la deriva a destra sui punti fondamentali come i diritti dei lavoratori”. Resta il fatto che Fassina aveva minacciato conseguenze politiche, qualora Renzi avesse messo la fiducia sul Jobs Act. “Lo ripeto – replica – La conseguenza politica è che alla Camera riapriremo la discussione su tutto”.

Gasparri: “Ma quale soccorso azzurro: da Renzi solo annunci”

Di occasione persa, invece, parla Forza Italia che già il giorno prima della fiducia aveva spiegato che si sarebbe sfilata sul voto riguardante il Jobs Act, soprannominato ieri dagli azzurri “Bluff Act”. Duro a proposito di ciò il commento di Maurizio Gasparri che abbiamo intercettato durante la caotica seduta pomeridiana a palazzo Madama: “Qualcuno si aspettava che potessimo fare da stampella a un premier che fa annunci di destra e politiche di sinistra? Ma non scherziamo”. Il presidente dei senatori di Forza Italia non solo ha chiuso così sull’ipotesi di “soccorso azzurro” che sarebbe dovuto arrivare per far passare il provvedimento sul lavoro al Senato ma ci tiene a chiarire quali sono i contorni della collaborazione aperta tra Berlusconi e Renzi: “Noi – ha spiegato – siamo stati responsabili sulle riforme istituzionali ma, come può sentire dal rumore di sottofondo dell’Aula, stiamo fermamente all’opposizione di questo governo che su tutti gli altri temi si contraddistingue per collezionare annunci più che risultati”.

Borghezio: “A Bruxelles il semestre italiano non è mai partito”borghezio

Eppure la fiducia al Jobs Act sembrerebbe aver convinto Angela Merkel – presente all’eurovertice di Milano – sulla bontà della condotta del governo italiano per ciò che riguarda il lavoro. Da Bruxelles non la pensa così Mario Borghezio, europarlamentare della Lega Nord: “È incredibile – spiega – come la politica italiana resti imballata davanti a un non-problema. Ci ritroviamo con il Pd spaccato, Forza Italia silente, i sindacati che minacciano l’occupazione delle fabbriche. Un vero capolavoro di Renzi che doveva ricostruire l’Italia e si è presentato invece al convegno europeo lavoro con un Parlamento dilaniato”. Per Borghezio quello sull’articolo 18 resta un dibattito ideologico: “Un alibi predisposto da Renzi per distogliere l’attenzione sul reale stato delle cose”. E pensare, attacca, che saremmo in pieno semestre italiano a Bruxelles: “Una guida del semestre di una debolezza assoluta, impalpabile. Renzi anche su questo punto ha dimostrato di essere un totale bluff politico. La presidenza italiana dovrebbe rappresentare la capacità di emergere e di far ascoltare una voce forte e consapevole sul modo con cui il nostro Paese pensava di far uscire il sistema europeo da questo impasse. Invece anche questa occasione è andata sprecata”.

Antonio Rapisarda

@rapisardant

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1 commento

  1. Roberto Cena il

    Gli Italiani si abbeverano solo alla TV e li hanno convinti che non vi siano più fabbriche ed operai. Invece l’Italia è il secondo Paese manufatturiero d’Europa dopo la Germania perché ha ancora una enorme produzione industriale, pur essendo diminuita del 25% dal 2007. State certi che il blocco delle fabbriche e gli scioperi generali saranno un’arma micidiale per un Governo che non può perdere neanche un punto di PIL se non vuole fare Default. Landini ha ragione a predisporre il blocco della produzione se questo Governo insiste nel demansionamento e nel controllo remoto della prestazione lavorativa. Avanti!

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