Un antitodo contro l’intolleranza. Può esserlo un romanzo. Lo è senz’altro “La ragazza del Charlie’s caffè” , l’ultimo libro scritto da Rosa Romano Toscani e pubblicato da Curcio editore. Una storia di amore, ma anche di violenza, ricca di colpi di scena, dal ritmo di un grande film. Una storia che appartiente al nostro mondo di oggi, un mondo senza frontiere, ma pieno di invisibili muri, muri costruiti dal pregiudizio e dall’ ignoranza. Muri che impediscono agli esseri umani di essere felici. Gemma, una giovane donna italiana ed Hadji, un ragazzo brillante e colto di origini marocchine, sono i protagonisti. Le loro vite si intersecano e si separano per poi ritrovarsi in un immenso spazio, fatto di luoghi diversi. Luoghi le cui distanze ora sembrano accorciarsi e ora dilatarsi e dove comunicare è tutt’altro facile.
Tutto ha inizio nella Medina di Marrakesh, dedalo di ineffabili misteri. Poi un flashback ci trasferisce all’improvviso in rue de la Commune a Montreal in Canada. E sembra davvero di camminare nelle vie di questa grande città, di entrare nelle case, nei bar, negli ospedali, fino a sentirne tutto il rassicurante respiro, la quotidiana razionalità. Il Canada è da sempre un paese di immigrazione per eccellenza -ospita circa 34 gruppi etnici con più di 100.000 persone ciascuno, i primi dieci con oltre un milione di presenze l’uno- un paese fortemente composito e nel quale, diversamente che negli Stati Uniti dove è sempre prevalsa una tendenza all’assimilazione, si è imposto un modello multiculturale in senso stretto, che tende cioè ad offrire maggiori spazi e tutele alle singole culture d’origine, preservandole come è esplicitamente sancito nell’Immigration Act. Montreal è un mosaico, non un melting pot. E nel libro di Rosa Romano Toscani questo emerge chiaramente. Montreal è metafora della possibilità di incontro tra diversità, di confluenza tra civiltà e tradizioni differenti, è luogo dove tutto si tocca, ma è anche un luogo dove la fusione non riesce a realizzarsi, dove ciascuno vive la propria vita da straniero e dove la nostalgia – che è qualcosa di più essenziale del rimpianto per ciò che si è perduto- diventa il filo rosso che unisce i personaggi. Nostalgia di quel che è nostro ma che non possediamo o di ciò che non è nostro ma di cui disponiamo. E’ questo che prova Hadji.
Scrive Rosa Romano Toscani: Hadji appartiene a due mondi contemporaneamente e non si riconosce nella geometria dei luoghi dove è cresciuto – Montreal- né nel groviglio di vie dove è nato -Marrakesh. Ed è sempre nostalgia quello che prova Gemma che in Canada vuole rimettere insieme i pezzi di se stessa. Ed è nostalgia ciò che provano gli altri personaggi. Quel disagio del vivere che cerchiamo tutti di placare attraverso la memoria di radici salde, radici che l’uomo però non può avere, perché l’uomo non è un albero e ha piedi che lo portano inarrestabilmente alla ricerca di nuovi orizzonti.
E sono davvero tanti e ricchi ciascuno di un proprio fascino speciale i posti della geografia di questo romanzo: c’è Reggio Calabria con le sue mura greche, l’acqua del mare scintillante di luce misteriosa e l’odore di casa. E poi il Marocco, le cascate di Ouzud – Ouzoud in berbero significa mulino, tre potentissimi salti d’acqua alti circa 110 metri, nascoste tra montagne di arenaria rossa, le gole del massiccio del M’Goun sull’Alto Atlante, Casablanca, Fez e ancora Marrakesh, la magica città stregata, dominata dalle cime innevate dell’Atlante, antitesi di Montreal, dove invece tutto è prevedibile, ordinato, forse anche monotono, ma sicuro. Un viaggio è dunque anche questo libro. Un viaggio non solo attraverso i luoghi del mondo, ma anche un viaggio alchemico dentro noi stessi, un viaggio ci aiuta a cambiare, a migliorare. Un romanzo serve anche a questo. La scrittura è un potente strumento, come dice Platone nel Gorgia. La scrittura è un intreccio misterioso di parole, che non volano, ma restano. Un mezzo magico, un medium che sa compiere divinissime cose. La parola è terapeutica.
E cosa fa Gemma, infatti, per superare tutto l’orrore con il quale si trova all’improvviso a dovere fare i conti? Cosa fa per restare viva se non disperatamente procurarsi un foglio e una penna? Leggiamo a pagina 168: “Aveva scritto per salvare i suoi ricordi dall’oblio. Aveva scritto per salvare se stessa…In quella lunga avventura ritrovava tutti i propri sentimenti e lo stesso era per Hadji che la ascoltava incantato”.
La parola quando diventa narrazione, quando è alta, riesce a placare la paura ed eliminare il dolore, suscitare gioia e aumentare la pietà. Diceva Antoine-Marie-Roger de Saint-Exupéry “Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini solo per raccogliere il legno e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito”. Sulle ali delle parole, delle immagini, delle emozioni l’impossibile diventa possibile, camminano le idee e si accorciano le distanze tra gli uomini e i popoli ed è più facile abbattere gli steccati del pregiudizio.
Ma questo libro è importante e si arricchisce di senso anche su un altro importantissimo fronte. E siamo al secondo punto, al secondo elemento caratterizzante: il messaggio intrinseco che ci trasmette è un messaggio forte che contiene un invito, quello a superare le barriere della intolleranza e della diffidenza che proviamo inevitabilmente nei confronti di chi proviene da un mondo altro rispetto al nostro. Cosa che è fondamentale in questi tempi nei quali si rischia troppo spesso di cedere alla paura, all’ignoranza e di generalizzare. Ha paura Gemma. Paura della diversità. Tanta paura da soffocare l’amore che prova nei confronti di Hadji. Ed è per questo che torna nella sua terra, in Calabria. Vuole riflettere, capire. Le dice, come leggiamo a pagina 105, il suo vecchio professore di liceo, l’unico al quale confessa i suoi dubbi: “… dimenticati di quei falsi problemi…noi stessi siamo il prodotto di incroci e fusioni tra le più diverse culture ed etnie. Tutte le più grandi civiltà sono meticce, la purezza produce soltanto sterilità”. Ed è proprio così.
Nel bene e nel male è proprio il grande mix di culture e tradizioni a infondere luce al mondo, a migliorarlo, a evolverlo, mutando le parole, le consuetudini, accrescendo il genio e la creatività. Quanto al male e al bene sono caratteristiche di questo mondo, caratteristiche proprie della natura stessa dell’uomo, comuni a tutti gli uomini e non certo attribuibili ad una cultura piuttosto che a un’altra o ad una religione. E non c’è nessun pregiudizio da parte dell’autrice nel collocare l’antagonista – l’antieroe di questa storia- in un luogo geografico invece che in un altro. E con il male e con il dolore si misurano in questo romanzo i due protagonisti. Il male li ferisce a morte con violenza estrema, ma non li divide, anzi rafforza il loro immenso legame d’amore. E il dolore si trasforma in una grande e immensa voglia di tramandare agli altri la capacità di amare il mondo e di scoprirne tutta la poesia e tutta la bellezza.
Ma questo bellissimo romanzo è anche ricco di piccole e grandi perle di forte suggestione e grande poesia. Momenti antropologici evocativi di un’antica sapienza. Come l’incontro che Hadji ha con il marabutto Aissa Ben Idriss – il marabutto è una figura di santone molto diffusa nell’Africa maghrebina- o con il cantastorie e la profetessa. Quest’ultima a lui indicherà la via per ritrovare Gemma, mentre a Gemma, in un altro momento del libro, racconterà la leggenda delle ragazze scomparse e della giovane Sarima, rapita da una stella ed educata alla scuola della luna per poi poter insegnare agli uomini della terra i misteri del cielo e della natura. E ancora, la bella storia che conclude il il libro. La storia di Nadir, portato dalle onde sulle coste calabresi. Nadir, al quale Rosa Romano Toscani non dà a caso questo nome. Nadir è infatti uno dei poli dell’orizzonte, il punto diametralmente opposto allo zenit. Nadìr al-samt, in arabo vuol dire direzione opposta. Nadir che viene dall’Africa – dalla direzione opposta- e che sa intrecciare canestri, tappeti e collane d’ambra, profumate di zafferano e chiodi di garofano, Nadir che ama in segreto la bella Rosina. Nadir, che nella terra di Calabria, che è stata crogiolo di civiltà lontane, civiltà che hanno avuto la capacità di fondersi –diversamente da quello che accade come abbiamo detto in Canada- assurge a icona dell’integrazione. Le sue collane, i suoi canestri, i suoi tappeti diventano le collane, i canestri, i tappeti della tradizione di Capo Rizzuto, Pedace, Spezzano, San Giovanni in Fiore… empo”.