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Gianni Rodari

La realpolitik vaticana dei segni. Dal polsino sfilacciato di Francesco alle suore palestinesi

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papa francescoAbbiamo tutti bisogno di segni. Il testo del Vangelo è pieno di richieste di segni fatte a Gesù Cristo, perché le gente, a volte, piuttosto cha capire vuole credere ed è convinta che i segni possano servire in questo difficile percorso. Richieste respinte prontamente al mittente perché, diceva Gesù, piuttosto che i segni serve la conversione del cuore. Ma i segni a noi uomini piacciono, servono a conferma dell’invisibile. I coniugi li cercano continuamente tra di loro la prova di un amore costantemente crescente. I bambini li vogliono dai genitori per sentirsi più solidi in quelle piccole tempeste che capitano loro ogni giorno. E questo è anche il solco che sta tracciando l’attuale Pontefice, che invece di farsi chiamare Papa vuole essere il Vescovo di Roma e di tutti. Ed i segni di Francesco sono ben presenti davvero a tutti. Ha rinunciato all’appartamento presso la sede apostolica per scegliere come residenza Santa Marta. Siede a Messa in ultima fila insieme a cardinali. Si porta la borsa da solo quando sale in aereo. Rompe costantemente i protocolli di sicurezza come fossero carta. Parla al cuore della gente come un nonno pieno di saggezza e di amore. Una foto di qualche giorno fa ha ritratto addirittura la sua veste bianca, pulitissima ma leggermente sfilacciata su un polso. Profondo conoscitore dell’animo umano, Bergoglio sembra proprio incarnare ciò di cui avevamo bisogno in questi anni ‘feroci’. Anche Raul Castro ed in rapida successione Abu Mazen nei loro recenti incontri sembrano essersi inteneriti di fronte a questo argentino che viene “dalla fine del mondo”. E mi torna a mente quella veste sfilacciata vista sui giornali qualche giorno fa. Parla davvero a tutti, perché la ricerca della perfezione estetica può non essere tutto.

A livello internazionale Papa Francesco, nelle questioni che coinvolgono la diplomazia vaticana, mira ad una realpolitik tutta sua. La realpolitik è l’esatto contrario della politica politicante. Perché con questo termine si fa riferimento ad una sorta di pragmatismo politico, scevro da puri riferimenti ideologici. È stato proprio lui, nell’anniversario del genocidio armeno, a dire che i cristiani devono ‘rendere sempre testimonianza alla verità’ e dire le cose come stanno. Ne è seguita una levata di scudi del governo di Ankara, ma poi il mezzo incidente diplomatico è rientrato dopo il fermo silenzio della Curia romana. E non è una questione di cura delle parole, quella netta affermazione di Papa Bergoglio, nelle sue intenzioni, mira ad aprire gli spiragli ad una qualche forma di riconciliazione tra popolo turco e popolo armeno. Perché tutti gli sforzi della diplomazia pontificia mirano a questo. A realizzare molteplici forme di riconciliazione tra i popoli e le culture. Adesso più che mai, vista quella terza guerra mondiale ‘a pezzetti’ che le cronache hanno potuto registrare sui loro sismografi solo dopo che Bergoglio ha avuto nuovamente il coraggio di dire le cose come stanno. Intanto “lo sporito soffia dove vuole” ed ai cristiani, a Bergoglio in primis, spetta solo di seminare continuamente gesti di speranza e di carità, a cui doverosamente possiamo aggiungere la fede, il sale della terra, la virtù da cui discendono tutte le altre. In questo Bergoglio sta dimostrando anche di essere un ottimo pedagogo, oltre che un pastore solerte e prezioso. Sta insegnando al mondo una serie di valori universali che tradotti in atti concreti possono portare ad una vera e proprio rivoluzione nella vita di noi tutti. Valori, attenzione, non ideologie.

Anche Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI hanno seguito una loro realpolitik. Wojtyla concentrandosi sulla lotta al comunismo con una fitta rete di relazioni tenute anche con gli Stati Uniti di Ronald Reagan. L’altra battaglia che avrebbe voluto ingaggiare era quella contro il capitalismo sfrenato, a cui però, adesso, sembra essersi dedicato almeno in parte anche Bergoglio. Papa Benedetto XVI, invece, per i fatti di Ratisbona e per quella scelta inedita di dimettersi anzitempo per lasciare il posto a qualcuno che avesse più energie di lui da mettere a disposizione nella guida della Chiesa e nel dialogo con il mondo contemporaneo. Dimissioni giudicate epocali. Un gesto estremamente critico e criticato la cui ragione profonda, però, si è potuta comprendere solo adesso, a più di due anni di distanza e alla luce di quanto sta facendo il nuovo successore di Pietro. Il discorso di Ratisbona, più in generale dedicato al tema del rapporto tra fede e ragione, ha sollevato non poche polemiche, sopratutto per la citazione che al suo interno Benedetto XVI fece di un passaggio di Manuele Il Paleologo. In questa citazione si fa riferimento all’uso della spada che Maometto autorizza per “diffondere la fede che predicava”. Il riferimento è stato preso da Ratzinger come pretesto per commentare che alla fede si può arrivare solo tramite l’uso della ragione e del dialogo e che mai nessuna forma di violenza potrà servire “alla conversione dei cuori”. Tutte le pesanti reazioni che sono seguite a questa lezione di Benedetto XVI muovono da una lettura parziale di quanto lui stesso aveva pronunciato, aggiungerei, con solenne coraggio. D’altronde già Sant’Agostino sul rapporto tra fede e ragione ebbe modo di dire: “Tale infatti è l’evidenza della vera divinità, che essa non può rimanere del tutto nascosta alla creatura razionale che sia ormai capace di ragionare. Fatta eccezione di pochi, nei quali la natura è troppo depravata, tutto il genere umano riconosce Dio come autore di questo mondo…” (Discorsi sul vangelo di Giovanni, n°106 – Nuova Biblioteca Agostiniana).

Intanto, a piccoli passi, si apre una breccia per il riconoscimento definitivo di uno Stato Palestinese. La questione è all’attenzione della Chiesa Cattolica ormai da più di venti anni. I primi rapporti ufficiali tra Santa Sede e Olp(Organizzazione per la Liberazione della Palestina) risalgono al 26 ottobre 1994. Fu istituita una commissione bilaterale permanente di lavoro che portò all’accordo del 2000, quello in cui la Santa Sede riconosceva l’Olp come rappresentante del popolo palestinese. Adesso invece è stata trovata l’intesa su un testo di accordo che dovrebbe essere firmato direttamente dalla Santa Sede e dallo Stato di Palestina. Papa Francesco abbandona quindi la diplomazia triangolare verso la Terra Santa e procede a definire direttamente con Abu Mazen i principi e le norme fondamentali all’interno di cui inquadrare la collaborazione tra i due Stati. Israele, ovviamente, non l’ha presa bene. Forte è l’auspicio, come ha affermato Mons. Camilleri, capo della delegazione vaticana, “che l’accordo raggiunto possa in qualche modo aiutare i palestinesi nel vedere stabilito e riconosciuto uno Stato della Palestina indipendente, sovrano e democratico che viva in pace e sicurezza con Israele e i suoi vicini”. In primis però l’accordo mira, come tutti gli accordi che ha la Santa Sede con diversi Stati, a favorire la vita e l’attività della Chiesa Cattolica ed il suo riconoscimento giuridico anche per un suo più efficace servizio alla società. Nel testo su cui è stata trovata l’intesa si richiama una soluzione della questione isrealo-palestinese all’interno del Two-State Solution rinviando ad una futura intesa tra le parti. Segue poi una parte sulla libertà religiosa e di coscienza molto dettagliata ed articolata. La notizia dell’intesa risale a mercoledì 13 maggio. Sono seguiti a questo evento storico a stretto giro, in una sorta di ‘epifania’ bilaterale, la visita di Abu Mazen in Vaticano, sabato 16 maggio, e la canonizzazione di due suore palestinesi, domenica 17. Papa Francesco ha tracciato il profilo delle due nuove sante di Palestina nella Messa di Canonizzazione: “suor Maria Baouardy che, umile e illetterata, seppe dare consigli e spiegazioni teologiche a molti ed essere anche strumento di incontro e di comunione con il mondo musulmano. Così pure suor Maria Alfonsina Danil Ghattas che ci offre un chiaro esempio di quanto sia importante renderci gli uni responsabili degli altri, di vivere l’uno al servizio dell’altro».

Qualcuno vede già in queste due nuove sante le future patrone dello Stato palestinese che verrà. Un altro segno di quella realpolitik vaticana che Bergoglio sembra saper praticare con estrema efficacia, puntellandone il percorso anche di segni ‘potenti’ secondo la migliore dottrina cattolica. Adesso ci sono altri fronti a cui guardare nell’immediato futuro. Uno è il Medioriente, l’altro è la Cina e quelle sue scaramucce navali con gli Usa. A Mons. Camilleri è stato chiesto se l’intesa raggiunta con la Palestina possa servire da modello per eventuali accordi con altri Paesi a maggioranza musulmana. Lui ha commentato: “Trattandosi della presenza della Chiesa nella terra dove è nato il cristianesimo, l’accordo ha una valenza e un significato del tutto particolare”. Ha aggiunto: “Il fatto che in esso si riconoscano chiaramente, tra le altre cose, la personalità della Chiesa e la libertà religiosa e di coscienza significa che questo accordo può essere seguito da altri Paesi, anche da quelli a maggioranza musulmana, e mostra che tale riconoscimento non è incompatibile con il fatto che la maggioranza della popolazione del Paese appartenga a un’altra religione”. Insomma, un segno o un puntello che diplomaticamente guarda ad un futuro migliore rispetto al presente attuale, per tutta l’area. Poi c’è la Cina, l’ultimo baluardo dell’ateismo di stato e del comunismo. Il segno ed il sogno più difficile di Francesco. Nell’agosto scorso intanto, con l’autorizzazione del governo cinese, l’ha potuta sorvolare nel suo viaggio verso Seul, inviando un telegramma di benedizione al presidente cinese. Vorrebbe visitare quelle terre un giorno, perché anche lì servono segni di dialogo e di speranza. Intanto i cristiani cinesi gli hanno fatto sapere che lo stanno aspettando, perché anche quella chiesa lontana possa essere vivificata dalla forza e dall’esempio del suo ‘capo’. A Francesco questi toni probabilmente non piaceranno, perché, ci direbbe, non esistono capi ma fratelli e “noi siamo tutti fratelli”. Ed i fratelli veri, secondo il Vangelo, sono legati da un amore capace di mettere a tacere, con il suo esempio, tutti i venti di odio e di guerra che IS e al-Baghdadi continuano a seminare anche nei loro ultimi messaggi.  Un amore che  sorvola tutto, andando, come ha detto recentemente ai Vescovi italiani riuniti in assemblea, sempre controcorrente.


Marco Bennici

L'Autore

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