Ecco qual è il problema del futuro:
quando lo guardi cambia perché lo hai guardato.

Lee Tamahori

LUCA RONCONI. ADDIO ALL’ULTIMO GRANDE MAESTRO DEL TEATRO

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La notizia arriva di colpo in serata: il Maestro se ne è andato. Discretamente, come era nel suo carattere, Luca Ronconi, l’amato, l’odiato, l’ammirato, l’invidiatissimo ultimo grande maestro del teatro non c’è più. Ormai malato da tanti anni se la cavava però benissimo continuando instancabilmente a lavorare come era abituato a fare, spesso dimenticandosi di mangiare e presumibilmente anche di dormire.

L’ultimo spettacolo

Luca Ronconi

Luca Ronconi

Proprio in questi giorni al Piccolo di Milano, di cui era direttore, va in scena il suo “Lehman Trilogy” una lettura della crisi economica e non solo di questi ultimi anni, perché il Maestro non ha mai rinunciato a una lettura del presente mediata attraverso il testo, la parola scritta e parlata, le cui declinazioni sono sempre state la sua ossessione. Se ne ricordano gli inizi da attore, la scelta della regia, i capolavori del passato come Orlando furioso o l’Orestea quando era uno dei grandi protagonisti della sperimentazione, oggi a quasi 82 anni veniva spesso considerato da molti sedicenti giovani drammaturghi esponente di punta del “teatro ufficiale” dando essi a tale definizione carattere spregiativo . E invece la sua sperimentazione negli anni della maturità è stata quella di spettacoli come “Gli ultimi giorni dell’umanità”, “Strano interludio”, “L’affare Makropulos”, “Quer pasticciaccio brutto di via Merulana” e tantissimi altri capolavori; una sperimentazione viva tutt’oggi sul palcoscenico di Milano, una ricerca continua di senso.

La scuola di recitazione

Il ricordo va agli anni 1992-1993 quando da direttore del Teatro stabile di Torino aprì una scuola di recitazione. Trenta fortunati allievi si ritrovarono così a lavorare per due anni consecutivi su due testi di Pasolini, per giungere poi impauriti ed orgogliosi alla messa in scena di “Calderon e Pilade” al Castello di Rivoli. In prima fila ad applaudire niente di meno che Laura Betti. Calderon era il “rifacimento” di uno storico allestimento di Prato con le scene di Gae Aulenti, cui i giovani attori si accingevano increduli e terrorizzati, e anche un po’ ignoranti a dire il vero. Tra questi ho avuto l’onore di esserci anche io e di scoprire un lavoro puntiglioso e severo che scandagliava parola per parola, sillaba per sillaba; le dissezionava per poi ricostruirle e a quel punto sembrava di pronunciarle e capirne il senso per la prima volta. Di qui l’accusa di un suo manierismo, di un modo di far parlare e recitare gli attori che in realtà era una partitura finemente scandita, un modo di farli penetrare all’interno del testo che interpretavano. Cosicché l’attore assumeva su di sé la visione che del personaggio aveva l’autore, tanto da far recitare in alcuni spettacoli addirittura le didascalie.

Ore e ore segnate dalla sua leggera afasia, dal suo senso dello humor e dal suo realismo che all’epoca scambiavamo qualche volta per cattiveria. Lavoro duro quello del maestro e non privo di isterismi che, fosse stato per lui, non si sarebbe fermato mai anche grazie alla allora organizzatrice, amica e collaboratrice, Nunzi, che se ne prendeva cura (di lui e dei suoi cani) morta anche lei parecchi anni fa.
Niente psicologismi, reviviscenze di carattere pseudo stanislaskiano, niente “calarsi nel personaggio”: “quella roba da dentro” e si indicava lo stomaco “quella ce la mettete voi, qui si lavora sull’autore e sul testo” e a dire il vero sul movimento scenico, quel fluire che rende a volte i suoi spettacoli delle danze, scandite sulla recitazione.

La fine della genialità

teatroLa morte di Ronconi ha segnato la fine di un’epoca lasciandoci pericolosamente in balia di generazioni che forse poco hanno ereditato della visione dei grandi del teatro mancando troppo spesso di coraggio, cultura, visione, rinchiuse come sono nei propri cliché. Per ricordare di contro la genialità del maestro bastano le parole affidate a un altro grande intellettuale scomparso, Franco Quadri, nel suo “Il rito Perduto”: “Io penso con la mia testa, e trovo che basta uscire dagli schemi per scoprire possibilità nuove”.

Laura Landolfi

L'Autore

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