Che ognuno avrà il futuro che si conquisterà.

Gianni Rodari

Palmira rischial’armageddon. Le bandiere dell’Isis tra le colonne

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palmiraE alla fine gli uomini neri dell’Isis sono arrivati a Palmira, uno dei siti archeologici più belli e preziosi del mondo. Patrimonio dell’umanità, orgoglio della Siria, quella che fu culla di civiltà e di antico sapere. Hanno piantato tra le divine colonne le loro bandiere, simbolo di ignoranza, di morte, di barbarie e distruzione. Icone del loro risiko atroce. E festeggiano la conquista della città, decapitando miliziani e lealisti siriani.  Una strage di cui danno orgogliosamente testimonianza attraverso foto e video postate su internet. L’Osservatorio per i diritti umani siriano riferisce che ora lo Stato Islamico controlla oltre il 50% del territorio. Non solo. Palmira si trova in una posizione assolutamente strategica e la sua presa apre un varco importante, spianando la strada all’Isis su due direttrici: la via per Damasco e quella verso est, verso la città contesa di Deir al Zour. Intanto l’aeronautica del regime sta bombardando il centro moderno di Palmira. La città è stata evacuata ieri e su tutta l’area è stato imposto il coprifuoco. Gli splendidi resti che spuntano tra la sabbia del deserto e che risalgono al primo e secondo secolo dopo Cristo quando la regione era sotto il dominio dei romani e l’oasi era un crocevia di scambi mercantili ma anche culturali di grande livello sono esposti ad altissimo rischio.

A Palmira arrivavano carovane da tutto l’Oriente, Persia, India Cina con mercanzie destinate ad ogni angolo dell’impero romano. Le rovine, tra le quali oggi bivaccano, i guerrieri della morte sono ciò che rimane di un colonnato che si snodava per la città lungo un chilometro fino al tempio di Ba’al, all’area di Diocleziano, all’agorà, allo splendido teatro, ramificandosi in altri colonnati più brevi diretti ad altri luoghi sacri e piazze, fino alle mura oltre le quali c’è ancora traccia di un acquedotto romano e di una immensa necropoli. “Se Palmira venisse distrutta sarebbe non solo un crimine, ma una gravissima perdita per l’umanità “, ha detto il direttore generale dell’Unesco, Irina Bokova. Maamoun Abdul Karim, sovrintendente delle Antiquità del governo siriano, ha confermato  che centinaia di reperti e statue sono state messe al sicuro, ma che la zona monumentale resta fortemente esposta, e ha fatto appello alla coalizione guidata dagli Stati Uniti affinchè intervenga per prevenire la distruzione di quella che è la culla della civiltà umana.

A descrivere Palmira ai tempi del dominio romano è Plinio il vecchio in “Naturalis Historia”, mettendone in risalto la ricchezza del suolo e la sua importanza per il ruolo che ricopriva come principale via di commercio. Negli anni di Tiberio conobbe il suo massimo splendore e fu allora che venne costruito il celebre tempio di Ba’al. Palmira era così ricca che più tardi riuscì adirittura a diventare una città stato, con una colonia sull’Eufrate e un fondaco a Vologasia, città del regno dei Parto. Ma l’oasi lega il nome anche ad una donna, la bellissima regina Zenobia che prese il potere intorno al 268 in nome di suo figlio Vaballato con il sogno di creare un vero e proprio impero d’Oriente, che potesse affiancare l’impero di Roma, che rimase però insenbile al progetto della signora, che delusa e amareggiata si ribellò all’autorità di Roma e si proclamò Augusta.

Due anni dopo la sua ascesa al potere, Zenobia dichiarò guerra ai romani attaccando con il suo esercito le province di Arabia, Palestina ed Egitto, che conquistò per spingersi poi, verso nord, in palmiradirezione della Cappadocia e della Bitinia. Ma nel  272 Aureliano riconquistò tutti i territori e assediò Palmira che fu presa, ma non fu saccheggiata nè devastata. La regina e suo figlio furono catturati dalla cavalleria leggera romana, mentre tentavano di attraversare l’Eufrate e successivamente spediti Roma. Secondo quanto riferisce lo storico bizantino Zosimo Vaballato morì durante il viaggio, mentre Zenobia venne esibita durante le celebrazioni per la vittoria di Adriano come uno splendido trofeo, legata con delle catene d’oro per poi essere data in sposa a un senatore romano.

Velia Iacovino

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