Che ognuno avrà il futuro che si conquisterà.

Gianni Rodari

Simboli, segni e sogni, l’alchimia della poesia

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Splendide opere di pittori e scultori esposte nella galleria Cassiopea, presso il complesso monumentale dei dioscuri del Quirinale, fanno da cornice alla speciale rassegna d’arte contemporanea titolata “le tre SSS: simboli, segni e sogni”, che si è tenuta giovedì 5 marzo. L’evento, dedicato alla poesia e al suo intrinseco significato di bellezza, coinvolge diverse tipologie d’arte che possono incontrarsi sull’asse dei simboli, dei segni e dei sogni, sull’onda di un’irresistibile e spettacolare alchimia. Il poeta Angelo Sagnelli, relatore del convegno, ha offerto un meraviglioso viaggio nell’ universo poetico della “parola astratta”, che vince il tempo e resta eterna.

Le tre S della poesia

poesiaCome spiega eloquentemente Sagnelli, per tutte le arti sono importantissime: forma, contenuto e stile. La forma, nel caso della poesia, è costituita dalla scrittura, il contenuto è il mondo poetico creato dalla fantasia dell’artista e lo stile si può definire: “firma del contenuto”, dato che fa nascere, attraverso la scelta e l’accostamento di parole secondo particolari leggi metriche, un componimento fatto di frasi, dette versi, in cui il significato semantico trova una propria musicalità grazie all’armonia con la quale viene accostato il suono dei fonemi. La poesia è un’arte raffinatissima e preziosa, unica nel suo genere, che si porge a noi con il suo fascino impalpabile.La creatività poetica è un tuffo in colorati pensieri, un volo nei cieli dell’immaginario, che trova proprio nel regno della fantasia il suo potere grande di dar alla luce una nuova realtà. Il mondo poetico è ciò in cui crede lo scrittore, incarna la sua speranza di tracciare una strada diversa nella contemporaneità. Il poeta vuole superare l’oasi del nostro vissuto attuale, per costruire la sua oasi da espandere in un altro mondo. Il segreto di questa misteriosa virtù è un singolare equilibrio fra conoscenza, tecnica e creatività, in quanto ideare cose nuove significa poter prescindere dal proprio vissuto e dalla propria esistenza. La poesia è anche filosofia, come sostiene Neria De Giovanni, presidente dell’associazione internazionale dei critici letterari. Essa, infatti, nel mondo classico si considera uno strumento indispensabile per affrontare l’origine delle cose ed esprimere una teoria in versi, portando l’uomo ad adoperare la “connettività del linguaggio”. Negli anni sessanta sorge una divisione tra i fautori del linguaggio, che prediligono la “forma novissima” al significato metaforico da esprimere e i sostenitori del contenuto, pronti a conferire invece grande peso al senso della poesia e poco allo stile, che anticipa già le successive espressioni crepuscolari e futuristiche. Tuttavia, nella nostra quotidianità il gusto della buona poesia sta tornando a far sentire la sua voce, proponendo un ricco mondo poetico alternativo.

I versi che cambiano lo spirito nel tempo

L’espressione in versi è definibile pure, in un certo senso, come un’arma che non agisce subito nel corpo, ma cambia lo spirito nel tempo. È un modo per “affrontare e unire” la gente, così la definisce Vittorio Maria De Bonis, storico e critico d’arte, che cita, nel suo intervento, la teoria di Oscar Wilde che sostiene il disperato tentativo della vita stessa incapace di imitare la poesia. De Bonis propone la lettura di un suggestivo testo poetico di Nazim Hikmet dal titolo: “Ti amo come se mangiassi il pane” che esprime, con nitida profondità, l’inquietudine e al contempo la gioia suscitata dalla potenza del nuovo sentimento cresciuto nell’anima di un innamorato. Si coglie anche una certa devozione verso il divino nell’emblematica dichiarazione finale dell’autore: “Ti amo come qualche cosa che si muove in me quando / il crepuscolo scende su Istanbul poco a poco / ti amo come se dicessi Dio sia lodato son vivo”. La fratellanza cui ci chiama la poesia apre in noi la prospettiva di abbattere tutte le barriere del pregiudizio culturale, sociale, storico e religioso. È inaspettatamente bello e commovente insieme trovarsi tutti riuniti in un singolare convegno che rende possibile un dialogo profondo e un sincero scambio di emozioni e sentimenti vivi, provenienti da diverse esistenze e differenti interlocutori, che si prestano generosamente a condividere col pubblico una parte del loro bagaglio di esperienza umana. Spesso si tende a “dividere” la produzione artistica occidentale da quella orientale.

La poesia nell’Oriente

Questa eccezionale serata poetica vuole, invece, affrontare un’importantissima sfida: congiungere come in un profondo abbraccio il patrimonio artistico di due mondi lontani e vicini allo stesso tempo. Si abbandona ogni rigido schema e preconcetto, per trattare capolavori di poesia classica, che ha ancora il sapore dei lirici greci e latini, come di poesia moderna, di autori italiani e stranieri. All’interno di tale cornice suggestiva c’è spazio per la poesia sacra e profana, per la ricerca dell’eloquenza filosofica come della semplicità quotidiana. A farci il dono prezioso di una lucida, intensa, sincera e sensibile testimonianza della ricchissima poesia araba è il noto giornalista della Stampa Estera Samir Al Qaryouti. La poesia è fin dentro l’anima dell’Oriente, che per primo infonde al mondo il suo contributo sulla potenza del sentimento come calamita d’amore. Gli stessi nomi arabi sono ricchi di significato e valore metaforico.Samir, nello specifico, è un nome molto poetico, che significa: il raccontatore delle storie di pace, guerra e amore che narra questi discorsi di sapienza alla tribù riunita in ascolto quando cala la sera. Regala a tutti gli ascoltatori una grandissima emozione la possibilità di assaporare un’intensa e saggia spiegazione della spiritualità poetica orientale direttamente dalla bocca di un importantissimo giornalista e di un vero esperto di questioni medio-orientali quale, appunto, è Al Qaryouti.

poesiaCon una garbatissima finezza, che ha il sapore di una nobile preghiera invoca l’importanza di saper mettere insieme, da fratelli, tutta “la potenza dell’azione e dell’amore” per far sorgere un raggio di pace sulla drammaticità del difficile momento storico che noi oggi viviamo a volte da protagonisti e a volte da inermi spettatori. Al Qaryouti cita in tal proposito un interessante proverbio arabo: “Il creatore ci ha dato due orecchie per ascoltare le parole e una bocca sola per dirle”. La profondità di questa frase ci porta a riflettere dentro di noi, per cercare la misericordia e la forza di disporci all’accoglienza del prossimo e all’accettazione sincera e calorosa dell’alterità, come fonte di arricchimento dello spirito. Dio è l’amante del diverso, che bussa col suo amore alle porte dell’anima e ci chiede di amare il prossimo senza pretendere di imporre la nostra visione, come atto di umiltà e fiducia della creatura verso il creatore.L’amore è un mistero e chi sceglie di amare il prossimo accetta di compiere un salto nel buio. Tuttavia è solo in questa ricerca avventurosa del diverso che possiamo trovare la gioia di un completamento, che ogni giorno anela a una visione sempre più ampia dei nostri orizzonti. La perfezione e la conoscenza di tutto l’ignoto non sono cose di questo mondo, ma rappresentano uno degli infiniti doni che l’uomo può ricevere al termine di una vita spesa nella ricerca di un rapporto d’armonia con i diversi volti che il destino propone lungo il cammino dell’esistenza. Dai tempi delle divinità pagane alla diffusione delle tre grandi religioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo e islamismo l’essere umano segue un lunghissimo percorso di maturazione del proprio credo. In ogni religione sono presenti stille di sapienza, anche in quelle apparentemente più distanti dalla rivelazione dei tre libri sacri. Ciò non dovrebbe, dunque, dividere gli uomini, ma accomunarli in una ricerca sincera e profonda del divino, attraverso un dialogo forte e pacato insieme, uno scambio di riflessioni che non teme il confronto e che mira a ricongiungere tanti frammenti sparsi di verità per nutrire lo spirito, compiendo un passo decisivo verso la fede suprema.

Il potere dei versi

Samir Al Qaryouti fa un brillante intervento proprio su questa capacità di disporsi a un vero colloquio fraterno. E narra con estrema delicatezza il percorso di evoluzione della poetica araba, che nasce nel deserto, come luogo di riflessione in cui fioriscono perle di saggezza per trovare poi una sempre più matura evoluzione nella preziosissima e soave poesia del Corano. Non esistono pittori o scultori nel deserto, ma ci sono i poeti e una sola poesia può cambiare le sorti di un’antica tribù arabica. L’avvento dell’Islam tramanda il Corano e tutta la poesia di questo sacro libro in lingua araba. Una lingua che si presta nelle sue forme eleganti e sinuose, come nella complessa ricchezza dei suoi vocaboli e nell’intensità profondamente musicale dei suoni a essere portatrice di emozioni poetiche grandi. All’inizio del Corano Dio chiede a Maometto di leggere ad alta volte la rivelazione di fede, usando il verbo imperativo iqra’  (leggi). Nel Corano, dunque, come nella Bibbia e in generale in tutti i testi sacri siamo spronati con cuore sincero ad accogliere il prossimo. La fede mussulmana vera non è fatta di violenza, ma al contrario ci invita a non aggredire nessuno quando si viene offesi con la parola e ad abbandonare semplicemente il posto dove non c’è possibilità di tolleranza e apertura umana. Molto significativo e commovente si può definire il collegamento che Al Qaryouti propone fra Corano e Bibbia nella comune descrizione della verginità di Maria, recitando in traduzione alcune meravigliose definizioni che il Corano offre di Maria: “E Maria, figlia di Imran, che conservò la sua verginità; insuflammo in lei il Nostro spirito. Attestò la veridicità delle parole del Suo Signore e dei Suoi libri e fu una delle devote” e ancora: “Quando gli angeli dissero: – In verità, o Maryam, Allah ti ha eletta, ti ha purificata ed eletta tra tutte le donne del mondo”. Queste dirette e toccanti parole suggellano la comunanza fra due mondi diversi e due differenti credi, che finiscono per confluire in un’unica fonte divina. In arabo poesia si dice: sha’r e con questo termine si vuol indicare un canto fine, delicato, profondo e sensibile, capace di penetrare la mente.

Flauto e poesia, due elementi imprescindibili presenti nel mondo arabo

OrienteFlauto e poesia sono, dunque, sempre presenti nel mondo arabo. Al Qaryouti conclude il suo ricco, approfondito e coinvolgente discorso con la lettura di un preziosissimo testo poetico. Si tratta della poesia: “Il giocatore d’Azzardo” di Mahmud Darwish che esplica in versi la vita intensa di un uomo fra gioie, dolori, esperienze e malattia, che non svilisce la sua volontà di intonare una suggestiva e umile melodia di saggezza. Tra i versi più belli ricordiamo l’incipit di questo appassionante canto: “Chi sono io per dirvi / quel che vi dico? / sono solo una pietra / levigata dalle acque / che è divenuta un volto / o una canna forata dal vento / che è divenuta un flauto”.  Grati al discorso di Samir, per averci messo in contatto con quella delicatissima e profonda spiritualità orientale, che riverbera nel nostro inconscio come un’eredità antica di millenni e che anela un ricongiungimento fraterno con il nostro sentimento poetico occidentale, si cede la parola a Franco Campegiani, poeta e critico letterario. Egli ci parla di poesia come “rivelazione” e “nominazione sorgiva delle cose”. In questo senso la poesia nomina per la prima volta il mondo a prescindere dal secolo e dal millennio cui appartiene, poiché rappresenta “verità, autenticità e ascolto dell’essere”. Nell’uomo sussistono valori immutati che solo la poesia può rintracciare. L’arte è “innatismo, rigenerazione, rinnovamento, risposta al bisogno ancestrale dell’uomo”. Non è finito il tempo dei miti. Possiamo considerare ormai superato per taluni aspetti il mito antico, non la “mitopoiesi” che torna a farci rivivere la creatività antica, come rappresentazione catartica della psiche umana, e “il parto” di una nuova mitologia. La poesia è anche “espressione della coscienza individuale”, come la definisce il pittore Ennio Calabria. Essa non ha bisogno di “rompere l’unità e sezionarla come la scienza, ma riesce a cogliere i sintomi generali del reale”. Il poeta è colui che assorbe e traduce in lucida parola le immagini lontane. Molto interessante è la riflessione proposta da Luca Filipponi, presidente del Festival Art di Spoleto, che evidenzia lo stretto rapporto fra arte e comunicazione. Vincolo di cui necessita fortemente il ventunesimo secolo. Oggi fare comunicazione può risultare più semplice, ma a causa della segmentazione culturale diviene al contempo più difficile. L’aspetto positivo da considerare è proprio l’elevato numero di persone che hanno attualmente un interesse per l’arte e la cultura. La serata si conclude con la libera lettura di testi poetici e l’esibizione di raffinati e singolari ritratti. Morale e poesia non sempre coincidono: l’arte è anche lucida tecnica che può esprimere e talvolta fingere ogni tipo di sentimento. Persino un uomo cattivo può scrivere bei versi. Tuttavia le riflessioni positive emerse da questo incontro lasciano con il vivo augurio nel cuore che l’arte, come insostituibile strumento di sublimazione, riesca a condurci verso una catarsi “psicologicamente sana” dei nostri conflitti interiori, per dar ampio spazio in noi al grande sentimento dell’amore reciproco, che fa sorgere dall’equilibrio tra l’antico e il moderno nuovi efficaci strumenti di comunicazione. Nemmeno la violenza, il dolore e la guerra possono estirpare dall’animo umano il desiderio di cercare nell’alterità un completamento. Il sorgere di conflitti fraterni lascia presto o tardi lo spazio all’irrinunciabile necessità di placare l’odio. L’alternarsi di rancori profondi a speranze, sogni, tentativi e bisogni ancestrali di riconciliazione universale fa parte del mistero che racchiude in sé l’albero della vita: radice delle radici, segreto dei segreti.

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