La mutilazione per cui la vita perdette quello che non ebbe mai,
il futuro, rende la vita più semplice,
ma anche tanto priva di senso.

Italo Svevo

SEMPRE PIU’ STRAGI, ALTRO CHE GIORNO DI ORDINARIA FOLLIA

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Ancora una strage da patologia del comportamento supportato da armi da fuoco. E Milano rimanda alla fucina di tante, troppe deviazioni della convicenza civile. Si pensi ad Aurora, nel Colorado, la cittadina presso Denver dove James Holmes aveva sparato sulla folla del nuovo film di Batman. Allora si contarono 12 morti. L’altra mattina, il bilancio è stato inferiore, ma i numeri non alleviano lo sgomento. È la versione peninsulare del tipico derailed fellow, individuo disturbato, che dopo un massacro cade sotto i colpi delle squadre Swat (Special Weapons and Tactics), anche queste ormai stampate nell’immaginario contemporaneo. Il tutto mentre imperversa l’isteria di mamme, maestre e bambini in seguito al massacro compiuto dal ventenne Adam Lanza alla Sandy Hook di Newtown. Non uno, ma tanti, troppi giorni di ordinaria follia si susseguono nell’occidente che conferma la visione crepuscola di Oswald Spengler. Tragedie greche coniugate in postmoderno, dove la catarsi è ne­gata dalla ripetitività fino alla statistica. Senza altri protagonisti che individui anonimi per i quali la maschera perfetta è il volto incarognito di Michael Douglas nel film di Joel Schumacher del 1993 Un giorno di ordinaria follia. L’anonimo protagonista viene indicato con la sigla della sua targa automobilista, D-Fens, che in inglese si pronuncia come “difesa”. Perché è questo lo spirito che lo anima: l’autoprotezione contro un mondo gone mad, impazzito.Italy Courthouse Shooting

Restando al di là dell’Atlantico e ricavandone un monito, sarebbe il caso di ripassare la Storia. Il Secondo Emendamento della Costituzione americana recita: «Essendo necessaria una milizia ben regolata alla sicurezza di un libero Stato, non sarà violato il diritto della gente di possedere e portare armi.» I Padri Fondatori vedevano nel cittadino armato una garanzia contro l’insorgere della tirannia. Ma non prevedevano di favorirne una imbattibile, quella della violenza. Già negli anni ‘30, con l’espandersi del gangsterismo, la Corte Suprema tentò un dibattito sull’emendamento. “Una milizia ben regolata” non significava che chiunque potesse proclamarsene componente spianando un’arma. Venne così istituito il Batf, Bureau of Alchool, Tobacco and Firearms (Ufficio degli alcolici, del tabacco e delle armi da fuoco), per tentare un controllo della materia, specialmente nel contrabbando di pistole da uno Stato all’altro. Ne facevano parte i famosi “Intoccabili” del film di Brian De Palma del 1987, che incastrarono Al Capone. Il Batf, però, cadde in disgrazia dopo l’operazione di Waco, sfociata nel rogo in cui persero la vita i componenti della setta di David Koresh.

Una nuova legge sul porto d’armi si chiama “Brady Bill”, dal cognome dell’ex portavoce di Reagan, semiparalizzato da uno dei sei colpi sparati al Presidente da Jack W Hinkley la domenica del 29 marzo 1981. Moment of Madness, momento di follia, titolava Time, terminando con la domanda: «Si potrà mai fermare?». Jack Brady, sostenuto dalla moglie Sarah fondò la Handgun Control Inc. (Società per il controllo delle armi da fuoco), presieduta dalla donna, la cui crociata culminò nell’atto parlamentare che segnò la Storia americana. Perché qualsiasi tentativo di disarmo negli Stati Uniti equivale a tagliare via una fetta del carattere nazionale. “La felicità è una pistola calda” cantavano i Beatles. Avevano ragione 250 milioni di volte, il numero di armi che circolano negli Stati Uniti. Ne hanno una in casa da 50 a 60 milioni di famiglie, la metà del totale.

Non ci rinuncia certo il buon padre che vive nel ter­rore di vedere i suoi cari in balia dei bruti come nel film Ore disperate. Non il paranoico solitario, che infila la pistola nel cruscotto dell’auto prima di mettersi al volante. «A Washington e New York non girerei mai senza una pi­stola per proteggermi» ammette con la grinta che gli è propria Tom Clancy, lo scrittore più falco del mondo. Ritrovandosi sulla posizione di un misconosciuto Jay Montoya, commesso viaggiatore di Los Angeles, di tutt’altra risma di quello di Arthur Miller: «Proteggerò la mia casa. So come usare questo fucile e lo farei.» Mostra un semiautomatico Ruger Mini-14, eccessivo per sparare ai passeri, ma ottimo per uccidere. Un ricercatore del Policlinico Gemelli, da qualche anno pendolare a New York per periodici aggiornamenti, confessa con un sor­riso forzato: «L’America è eccezionale. Peccato che per chi viene da fuori è meglio andare a spasso con una scorta».

Sul New England Journal of Medicine del 10 no­vembre 1988 si legge che «le ferite da arma da fuoco sono un problema di sa­lute pubblica il cui tributo è intollerabile.» Lo scrivono James Mercy e Vernon Houk, ricercatori del Centro per il Controllo delle Malattie di Atlanta, aggiun­gendo un dato agghiacciante. «Fra il 1984 e il 1985 il numero delle persone che morirono per lesioni da armi da fuoco negli Stati Uniti furono 62.897, su­perando quello delle perdite americane in tutti gli otto anni e mezzo del con­flitto in Vietnam». Come sempre, l’essenza del problema viene colta dalla letteratura e dal cinema. Il romanzo Non temerò alcun male, di Robert Anson Heinlein, si svolge in questi anni ma risale al 1970. Mostra un’America dall’esistenza sociale blindata. Bisogna muoversi solo in auto o in volo e per i pochi tratti a piedi portare mantelli corazzati. Inevitabile il paragone con l’attuale boom delle vendite di giubbotti antiproiettile.

Peter Bogdanovich realizza nel 1967 Bersagli. Un vecchio attore di film horror, Boris Karloff, decide di sfuggire ad una realtà peggiore del cinema, per ritrovarsi a competere con un uomo normale che falcidia gli altri sparando da un drive in. Alan Arkin nel 1971 dirige Piccoli omicidi, dalla commedia di Jules Feiffer. Un fotografo pacifista ad oltranza, interpretato da Elliott Gould, sopraffatto dalla violenza del prossimo, regisce mettendosi a sparare nelle strade dalle finestre di una New York in cui tutti sono diventati cecchini e bersagli reciproci. Quando la società degenera nell’odio generalizzato, ogni angolo del cosiddetto mondo sviluppato replica Beirut, Sarajevo, Baghad e le altre città segnate da apocalissi di piombo e cordite.

Enzo Verrengia

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