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Gianni Rodari

Accordo sul nucleare con l’Iran. L’incontro a Vienna non ha registrato strappi

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I rappresentanti dei paesi che ancora aderiscono all’accordo sul nucleare stipulato nel 2015 con l’Iran si sono incontrati domenica 28 luglio a Vienna per discutere se ci sono ancora margini per salvare il trattato. Cina, Russia, Gran Bretagna, Francia, Germania ed esponenti della Ue hanno esaminato tutte le questioni  legate alla sua attuazione in tutti gli aspetti. Il meeting, presieduto dal Segretario generale del servizio di politica estera dell’Unione  Helga Schmid è stato sollecitato dai paesi europei aderenti.

L’esito è stato definito costruttivo da Teheran, che ha continuato a sollecitare tutele e garanzie in tema di scambi commerciali. Ma resta l’impasse  rappresentata dall’uscita di Washington dall’accordo e dalle ricadute sui paesi alleati dell’embargo posto all’Iran.

L’accordo, noto con il nome di Piano d’azione congiunto globale, riguarda lo sviluppo di energia nucleare in Iran, ed è stato siglato a Vienna il 14 luglio 2015 dai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti – più la Germania) e dall’Unione europea. Sottoscrivendolo l’Iran ha accettato di eliminare le sue riserve di uranio a medio arricchimento, di tagliare del 98% le riserve di uranio a basso arricchimento e di ridurre di due terzi le sue centrifughe a gas per tredici anni. In base ad esso all’Iran è stato concesso di arricchire l’uranio solo al 3,67% per i 15 anni. Dal canto suo Teheran si è impegnata a non costruire alcun nuovo reattore nucleare ad acqua pesante per lo stesso periodo. Le attività di arricchimento dell’uranio sono state  limitate a un singolo impianto con l’utilizzo di centrifughe di prima generazione per dieci anni. E’ prevista anche la conversione degli altri  impianti per evitare il rischio di proliferazione nucleare. Il  rispetto dell’accordo da parte dell’Iran è monitorato dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) che ha accesso a tutti gli impianti nucleari iraniani. In cambio  l’Iran ha ottenuto  la cessazione delle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (emanate con la risoluzione 1747) a causa del suo programma nucleare. L’8 maggio 2018 gli Stati Uniti hanno annunciato unilateralmente l’uscita dall’accordo, rilanciando le sanzioni economiche contro il Paese, accusato di sostenere il terrorismo, di appoggiare in Siria il governo di Bashar al-Assad, di costruire basi missilistiche contro Israele e di sostenere la milizia sciita libanese Hezbollah  e gli Houthi nello Yemen.  Una decisione quella del presidente Donald Trump che non ha ottenuto l’appoggio di Francia, Regno Unito e Germania.

Il 5 novembre 2018 è scattato il ripristino dell’embargo statunitense contro Teheran con “l’esenzione” di  8 Paesi, Italia, Cina, India, Corea del Sud, Turchia, Grecia, Giappone e Taiwan , che hanno potuto continuare così a importate petrolio iraniano. Esenzione che però è stata ritirata il 22 aprile scorso.

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