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Gianni Rodari

Dal trapianto all’infarto: un farmaco potrebbe risolvere diversi problemi

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infartoAlla Newcastle University gli studiosi hanno scoperto che un farmaco utilizzato dai pazienti che hanno subito dei trapianti potrebbe limitare in maniera significativa i danni successivi ad un attacco di cuore. Gli esperti, guidati dal professor Ioakim Spyridopoulos, direttore del Centro di Ricerca Cardiovascolare dell’università, sono riusciti ad identificare il motivo per il quale il cuore soffre in seguito ad operazioni chirurgiche che eliminano i trombi, causa degli infarti, e la risposta sembra essere un farmaco già esistente. Anche se il farmaco è già sicuro, altri test verranno fatti per accertarsi della sua effettiva efficacia e, se dimostreranno che la teoria risulta valida e ottiene risultati anche sul campo, nel giro di pochi anni questa cura potrà essere comunemente usata e ridurre così le morti in seguito ad un attacco cardiaco.

Durante un infarto, infatti, una occlusione (un trombo) blocca le arterie ed il flusso sanguigno, causando danni permanenti. Il cuore, però, risulta danneggiato anche a causa di un insieme di sostanze chimiche e cellule che affluiscono al cuore non appena il flusso viene ristabilito. Ad oggi i medici non sono in grado di prevenire o riparare tali danni anche perché non è stato compreso appieno come e perché tali sostanze si attivino. Attraverso test su 1377 pazienti, il team della Newcastle University ha scoperto che i globuli bianchi sono i responsabili dei danni più gravi. Le cellule, che normalmente combattono le infezioni, si attivano durante l’infarto e viaggiano fino al muscolo cardiaco. Una volta all’interno, rilasciano sostanze tossiche dannose per il cuore. Alla luce di questa scoperta, gli esperti ritengono che, diminuendo temporaneamente una parte del sistema immunitario in seguito ad un infarto, i globuli bianchi possono essere fermati prima che attacchino il cuore. I chirurghi già usano farmaci per evitare tali problemi dopo un trapianto, come la ciclosporina, in modo da bloccare un eventuale rigetto dell’organo trapiantato. L’idea, quindi, è quella di usufruire di un metodo già in uso allargandone l’impiego, così da migliorare gli esiti e i danni che un attacco cardiaco può avere su un paziente.

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