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Gianni Rodari

E se preferisse la tata a me? L’incubo delle nuove mamme

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Da quando non ho più il tempo di andarmene al cinema vado a Villa Borghese. Mi siedo col bimbo su di una panchina di fianco al laghetto e di li’ guardo la gente passare. Mi è capitato di andarci una volta un po’ prima di pranzo, durante le ferie. A quell’ora e’ come stare dal parrucchiere di sabato all’orario di punta perché è pieno di donne ed ognuna di loro potresti essere tu. Tu che fai jogging nella mezz’ora di pausa e poi corri a lavoro. Tu che urli al telefono “basta è finita”; tu che rubi al sole qualche raggio di luce per sembrare più bella. L’altro giorno sedevo sulla stessa panchina di sempre mentre il bimbo dormiva. Ero in balia dei pensieri più assurdi (se lo sveglio potrei innervosirlo ma se lo lascio dormire finiamo per mangiare nuovamente alle tre) quando incrocio gli occhi di una giovane mamma. Sta imboccando il suo piccolo, è seduta nel prato.

Ricambio lo sguardo con un cenno del viso. “Svezzamento vuol dire essere felici quando si intravede il fondo del piatto”, fa lei mentre continua ad infilare bocconi. “Ed io è da un bel po’ che ho perso il sorriso”, rispondo. L’intesa è totale. Rimaniamo a osservarci, l’una seduta di fronte l’altra. Io che aspetto il risveglio, lei che conta i secondi prima di cantare vittoria. Una ragazza ci passa davanti, “scusi, sa l’ora?”, chiede. Ha una mano poggiata sul grembo, ai piedi delle scarpe da tennis, deve essere incinta di più o meno sei mesi. La guardiamo tutte e due e sospiriamo. “Quando tutto quello di cui hai bisogno è dentro di te non serve neanche più l’orologio”, dico io. Ho un po’ nostalgia. Oramai sono quasi le tre e pure oggi la pappa e’ saltata, fortuna che domani rientro a lavoro. Lo penso davvero convinta, senza rimpianto. La gente intanto continua a passeggiare nel parco, è pieno di donne e bambini. Mi distrae una signora non più giovanissima, veste un tailleur pantaloni.

come-scegliere-il-passeggino_e5445bea70d1afe34e3a28128b16dd7bNe osservo i dettagli: ha in una mano il telefono, un tablet nell’altra. I tacchi a stiletto, la collana di perle, una camicia di seta. Non capisco cosa ci faccia nel bel mezzo del prato, cerco di non perderla d’occhio. Sulla borsa a tracolla c’è una carta d’imbarco adesiva, il viso e’ stanco come di chi ha passato una notte intera volando. Di sicuro aspetta qualcuno. Anzi no: va incontro a qualcuno. C’è un bimbo che gioca dall’altra parte del viale. Lei allarga le braccia, lascia cadere il bagaglio, si china, e poi lo saluta dicendo con un sorriso: “Amore di mamma”. Li’ mi emoziono, mi viene da piangere. Sono le ultime parole che dice. Poi rimane ferma, incredula, e non capisco perché. Allora allargo il campo visivo, come una cinepresa: c’è una ragazza seduta nel prato. E’ graziosa, sorride. Il bambino guarda la mamma, poi ancora la donna. Gli occhi da una parte, le braccia dall’altra. La parola che pronuncia e’ di sole due sillabe: “Ta- Ta”. Lo dice gridando fino a quando il respiro non sparisce tra l ‘abbraccio di lei. “Tata”. Mentre mi asciugo le lacrime, stringo forte mio figlio: a Villa Borghese ogni donna potresti essere tu. Poi chiamo l’ufficio. Non ci penso due volte e prendo un ‘altra giornata di ferie.

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