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Ezidi in Iraq: memoria, identità e genocidio

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Era il 5 agosto 2014, quando la deputata irachena, Viān Dakhīl, denunciò, con la voce rotta di pianto dinanzi all’assemblea parlamentare, l’immane tragedia che stava colpendo il suo popolo: gli Ezidi o Yazidi, antica minoranza religiosa, stanziata da millenni  nella regione occidentale del Sinjiar, era finita nell’atroce mirino delle milizie dell’Isis. La notizia fece in breve tempo il giro del mondo. Ma nessuno potette fermare quel massacro annunciato, su cui presto calarono silenzio e indifferenza nonostante la mobilitazione degli organismi internazionali. Donne abusate e ridotte in schiavitù, bambini trasformati in soldati, uomini giustiziati, santuari devastati, anziani lasciati morire di sete e di fame, e i più fortunati  che tentavano disperatamente la fuga per sottrarsi alla brutale violenza dei miliziani dello Stato Islamico.

E’ stato un genocidio programmato, quello perpetrato dall’Isis nei confronti del mite popolo degli adoratori dell’Angelo Pavone. Un genocidio  sul quale, dopo la scoperta di 68 fosse comuni, il governo iracheno proprio in questi giorni ha aperto un’inchiesta ordinando di far ricorso al test del dna per l’identificazione dei resti.

Secondo i dati resi noti dal ministero di Beni e degli Affari Religiosi del governo regionale de Kurdistan, ma ancora da verificare, l’Isis, durante l’occupazione delle terre ezide, avrebbe sequestrato 6.417 persone,  di cui finora ne sarebbero state rilasciate 3300, 1150 ragazze e donne, 337 uomini, 1813 bambini. Tutti gli altri rimangono dispersi. L’attuale popolazione i in Iraq e nella regione del Kurdistan è di circa 550 mila. Dal 2014, 360 mila di loro sono stati costretti ad abbandonare le loro case, oltre 100 mila sarebbero immigrati all’estero.

 

Ma chi sono gli Ezidi? Su questa minoranza religiosa si sa ancora troppo poco e le informazioni che su di essa cominciano a circolare sono spesse confuse e imprecise, cosa che si riscontra già a partire dall’indecisione sulla loro denominazione: “ezidi” o “yazidi”? Ad accendere i riflettori sulla storia di questo popolo ha contribuito recentemente nel nostro paese il Premio Ischia, assegnato a Zina Hamu, giornalista Ezida, sfuggita alla furia sanguinaria dello Stato Islamico, che insieme a un gruppo di altre giovani donne, è stata protagonista di un  progetto culminato in una mostra fotografica al MAXXI di Roma, poi portata anche in altre città italiane, in Iraq e in Lituania.

Per chi volesse approfondire FUTURO QUOTIDIANO riporta  le slide Ezidi in Iraq PP-1  e la Tesi  Ezidi in Iraq: memoria, identità, genocidio discussa il 13 aprile 2017 per il Master in Lingue e Culture Orientali   alla IULM  da Jessica Pulsone, che ha tradotto dall’arabo per la prima volta in italiano alcuni estratti del saggio Al-īzīdiyiūn fī al-Irāq: al-dhākirah, al-hawiyyah, al-ibādah al-jamā’iyyah [Ezidi in Iraq: memoria, identità e genocidio] (2016) di Sa‘ad Salloum. Salloum, uno dei maggiori esperti di minoranze irachene, coordinatore generale della Fondazione Masarat per lo Sviluppo della Cultura e dei Media. Tra i fondatori del Consiglio Iracheno per il Dialogo Interreligioso, capo del Dipartimento di Studi e Ricerche di Scienze Politiche nell’Università al-Mustansiriya di Baghdad.

 

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