La mutilazione per cui la vita perdette quello che non ebbe mai,
il futuro, rende la vita più semplice,
ma anche tanto priva di senso.

Italo Svevo

Il futuro della scuola passa dalla valutazione degli studenti sui professori

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Qualche anno fa apparve su Der Spiegel, notissimo settimanale tedesco, la notizia secondo cui gli alunni avrebbero potuto valutare via web i loro insegnanti. Una valutazione che non avrebbe costituito oltraggio alla personalità, secondo un’affermazione della corte federale tedesca di Karlsruhe, il più alto organo del diritto civile tedesco. La decisione, molto attesa, mise fine a ogni dubbio sul conflitto tra tutela della personalità e libertà di opinione della web community. Sul sito spickmich.de i ragazzi tedeschi avrebbero potuto finalmente esprimere pubblicamente la propria opinione sui loro docenti. Inghilterra, Usa e Canada: anche in questi paesi i ragazzi possono valutare i propri docenti su “Rate-my-teacher“, dove appaiono i nomi più gettonati. Basta un giro sul web e troverete nomi e cognomi di docenti a 5 stelle. In Francia il sito “Note2be” ha aperto un forum nel quale si discute sulla possibilità di esprimersi in rete, ma non ancora è possibile farlo. I francesi, si sa, sono molto rigorosi e leggermente retrò in fatto di educazione scolastica. Tutto sommato però anche i nostri cugini d’oltralpe indicherebbero 6 criteri su cui basare la valutazione di un docente: la sua capacità di rendere interessante una lezione, la chiarezza, la disponibilità, l’equità, il rispetto e la motivazione.

In Italia non se ne parla affatto. Ma non si era detto – secondo la visione avanguardistica di una scuola efficace ed efficiente – che gli studenti dovevano essere al centro del processo di apprendimento (student-centred-learning) e quindi soggetti attivi del processo stesso? È come tali, in grado e in diritto di esprimere il loro parere sul gradimento di un certo docente e sulla valutazione della sua capacità di coinvolgere la classe nella costruzione del sapere? “I docenti devono insegnare ai ragazzi a mettersi in gioco, ma per farlo devono essere i primi a sapersi mettere in gioco”, recitano intanto le linee guida della potenziale riforma governativa. Ma allora chi, se non lui stesso, l’alunno in prima persona, può valutare se il lavoro del suo professore è stato all’altezza del compito?

Attualmente sta nascendo – specialmente sul web – un discreto fermento intorno alle proposte sulla futura scuola italiana, in particolare intorno al lavoro del docente e alla qualità della didattica. Chi sta seguendo il dibattito online (https://labuonascuola.gov.it/#consultazione) può avere l’impressione alquanto positiva che si voglia finalmente mettere mano alla questione del merito, uno dei principali punti di debolezza del sistema scuola, mai affrontato seriamente, mai considerato veramente strategico dalla stessa classe docente. L’ultimo tentativo di riforma in tal senso abortì nel febbraio del 2000 proprio per gli ostacoli posti dagli stessi insegnanti, primo fra tutti l’accusa di “dividere la categoria”. Mi riferisco – e gli addetti ai lavori lo sanno benissimo- al concorsone di Luigi Berlinguer. Ma i tempi cambiano e costringono a nuove riflessioni.

Merito, inteso come qualità della didattica e impegno lavorativo del docente sembrano diventare – nella nuove proposte del governo (documento del 3 settembre scorso) – gli assi portanti della futura istituzione educativa pubblica. “Bisogna far uscire i docenti dal grigiore dei trattamenti indifferenziati”, così le intenzioni programmatiche della “buona scuola”. Attualmente infatti la carriera del docente si caratterizza per un automatismo di fondo basato sugli scatti di anzianità, indipendentemente dalla qualità del lavoro svolto in classe. Bisogna introdurre “elementi di differenziazione” che si basino soprattutto sull’impegno e la bravura del docente e non solo sulla sua anzianità. Il che significa riconoscergli particolari crediti che insieme al cv andrebbero a costituire il cosiddetto portfolio (cioè la documentazione delle competenze acquisite), da raccogliersi in un registro pubblico e consultabile online dai dirigenti scolastici all’atto di una nuova assunzione. Ma chi valuterà l’operato del docente (cioè la qualità della sua didattica e il suo impegno lavorativo) e con quali criteri? Secondo le proposte governative in corso dovrebbe farlo un “nucleo di valutazione interno alla scuola”, costituito da alcuni docenti e un rappresentante dei genitori. E gli alunni? Dove stanno gli alunni? Degli alunni e del loro giudizio non appare la benché minima traccia.

In effetti per ottenere dati oggettivi sulle competenze e il lavoro degli insegnanti oggi ci si serve di prove strutturate da somministrare agli allievi, per misurare quanto quest’ultimi hanno imparato dal loro professore. Se si volesse dare ascolto anche alla voce degli studenti si dovrebbe integrare quella valutazione (proveniente dai test) con un giudizio diretto degli alunni sull’insegnante. Magari espresso in una quota percentuale. Il nucleo di valutazione interno alla scuola – di cui si è detto – avrebbe così a disposizione un ventaglio più ricco e articolato di dati (componente docenti- componente genitori – componente alunni) per esprimere il suo giudizio finale. Non si può negare che la questione sia alquanto complessa. Non per questo si deve cadere nell’errore – tipicamente nostrano – di considerare la complessità come un alibi per non agire, ma accettare la sfida come uno dei parametri ormai imprescindibili della modernità.

Nicola Corrado

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