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Pietro Barilla

Il jobs act una partita per Renzi sempre più in salita

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Nemmeno il tempo di partire che il #passodopopasso del governo Renzi incontra già il primo ostacolo importante: il Jobs Act. Si sa, infatti, che quella sul lavoro è la “partita decisiva” con la quale il premier intende presentare alcune rassicurazioni importanti al governatore della Bce Mario Draghi: nell’ottica di quella «flessibilità in cambio di riforme» che è diventata il tormentone estivo da Francoforte fino a Roma. Giovedì in Commissione Lavoro di Palazzo Madama il provvedimento ritornerà in discussione e su alcuni punti dirimenti – riscrittura dello Stato dei lavoratori, e quindi articolo 18 e destino del contratto a termine – Renzi non ha ancora manifestato il suo progetto a fronte di diverse polemiche che hanno impegnato ad agosto esponenti del Nuovo Centrodestra e spezzoni della sinistra Pd proprio sul destino dell’articolo 18. Il premier, sul punto, ha deciso di non farsi travolgere («Articolo 18? Solo un totem ideologico») ma sa bene che il Jobs Act dovrà dare l’idea di essere “incisivo” nel riordino dei contratti di lavoro se intende beneficiare del piano Draghi.

Cazzola (Ncd): “Altro che Jobs Act. Solo la Troika ci può salvare”

Sull’argomento Giuliano Cazzola – ex sindacalista, economista e deputato del Nuovo Centrodestra – lancia un avvertimento a Renzi: «Se non radicalizza il tema della flessibilità in uscita il Jobs Act rischia di essere solo tempo perso». Cazzola alimenta i dubbi che permangono all’interno del suo partito: «C’è una sopravvalutazione di questo provvedimento – spiega a FUTURO QUOTIDIANO – Si tratta di una legge delega e quindi non è che avrà un impatto così determinante sulle norme. E in materia di lavoro purtroppo si producono un’infinità di norme quando poi i posti li crea l’economia».

Il punto è che l’Europa, in questo momento, vuole vedere le “carte” di Renzi: ossia le riforme. E, senza girarci attorno, ciò riguarda il tema strutturale dei contratti. «O c’è una forma di innovazione sul versante del licenziamento o nessun imprenditore penserà mai ad assumere se può assumere con il contratto a temine», risponde il deputato. Venendo alla misura centrale del pacchetto insomma, la riforma del contratto di lavoro con l’ingresso delle tutele crescenti, Cazzola pensa che la proposta ventilata dal governo per essere efficace debba superare “in uscita” ciò che è stato già prodotto dal ministro del Lavoro Poletti: «Credo che il contratto a tempo a tutele crescenti, a fronte della riforma del contratto a tempo determinato (il cosiddetto decreto Poletti, ndr), o è fortemente innovativo oppure diventa un quadretto che appendiamo al muro. E così lo regaliamo a Pietro Ichino».

Nonostante il premier si sbracci spiegando che la riscrittura dello Statuto sarà nell’interesse «della ragazza di 25 anni che non può aspettare un bambino perché non ha le garanzie minime», si ritorna sempre lì: la possibilità o meno, per le aziende, di gestire il rapporto con il lavoratore. Su questo punto però, quello che Alfano ha intimato andasse abolito «entro agosto», Renzi non sembra intenzionato ad aprire un fronte di scontro. «Sì – ammette Cazzola – tutto sommato si è già fatto tanto con la liberalizzazione del contratto a termine ed è vero che il problema dell’articolo 18 oggi si è molto ridimensionato». Ma è altrettanto vero «che se i giornali potessero scrivere che in Italia viene ulteriormente limato l’articolo 18, al di là del merito concreto, ciò avrebbe un impatto anche europeo. Se invece resta una delega striminzita, interpretabile, che preclude a un allungamento del periodo di prova trascorso il quale l’articolo 18 resta com’è, significa che è stato fatto tanto rumore per nulla».

Oltretutto, aggiunge, proprio l’Europa potrebbe non vedere di buon occhio alcune delle misure previste nel Jobs Act: «Prendiamo l’estensione degli ammortizzatori sociali: per fare questo bisogna trovare i soldi, e non è che l’Europa impazzisca se si aumenta la spesa». Insomma, dall’economista “contro” del Nuovo Centrodestra filtra più di un timore che questo pacchetto possa non bastare per convincere Draghi e Commissione Ue sul reale grado di discontinuità. «Del resto Renzi l’ho ribattezzato Piermatteo Renzi-Tambroni. Perché Tambroni ai tempi per accattivarsi l’opinione calò il prezzo della benzina e il premier si è inventato gli 80 euro ai dipendenti». In conclusione – secondo Cazzola – l’unica chance per agganciare davvero il treno della crescita è «chiedere l’intervento della Troika. Se si chiede un prestito internazionale ci si sottopone a una disciplina che, come nei casi dei paesi che l’hanno ottenuto, ha portato dei risultati». Renzi ha detto che non lo farà mai. «Vedremo…».

Giorgio Airaudo (Sel): “Renzi smantella i diritti come nemmeno Sacconi pensò di attuare”
«È incredibile che ciò che si va a trattare con l’Europa è il destino delle persone». Giorgio Airaudo, una vita nella Fiom e adesso impegnato alla Camera dai banchi di Sel, commenta così a Futuro Quotidiano lo “scambio” tra Jobs Act e flessibilità nei parametri europei ventilata da Mario Draghi: «L’idea che un ‘altra volta per tranquillizzare l’Europa si mettono a disposizione i diritti dei lavoratori, come Monti mise le pensioni a disposizione dell’Ue, è inaccettabile». Eppure il premier sostiene che intende allargare la forbice dei garantiti: «Proprio qui mi stupisce – risponde Airaudo – perché nel programma con cui l’allora candidato segretario del Pd presentava il provvedimento in questione doveva cancellare i contratti precari e invece, per quello che ne sappiamo, è destinato a essere presentato il quarantunesimo contratto di lavoro…».
Altro che lotta alla precarietà allora, secondo Airaudo questo Jobs Act rappresenta «la via per cancellare il lavoro a tempo indeterminato». Se il provvedimento in discussione in Commissione non convince, il deputato si chiede perché Renzi non decida di occuparsi della questione economica a 360 gradi: «In Italia c’è un problema lavoro che riguarda anche il sistema delle imprese. Se n’è accorto anche il ministro Guidi: “Dovete investire” ha chiesto alle aziende. Dall’altro lato invece si persevera nell’illusione che si crei lavoro rendendo meno costosi i lavoratori». Il punto vero qual è? «Il lavoro non c’è perché si stanno comprimendo il mercato interno e le esportazioni. Noi non dobbiamo rassicurare Draghi ma i cittadini».
Tutto sommato, ma da un vista diametralmente opposto, Airaudo conviene con ciò che ha spiegato Cazzola: «L’articolo 18 è stato già mutilato dal governo Monti, lo ha reso un simulacro di ciò che c’era: oggi l’azienda non deve spiegare perché licenzia. I diritti sono diventati aggirabili». Rimane, appunto, un totem. «Sì, questo tema viene brandito come un totem per dire una cosa semplice: tornare a ciò che conoscevano i nonni, ossia il licenziamento ad nutum». Licenziare con un cenno, insomma. Secondo l’ex sindacalista, insomma, la precarizzazione dei rapporti di lavoro è inserita nella logica del governo: «È molto curioso che in una fase di crisi si rendono più flessibili in entrata i lavoratori con il decreto Poletti e in uscita rendendo più facili i licenziamenti. In altre parti del mondo si ripensa a come ricostruire i diritti. Da noi invece il Pd e il centrosinistra permettono di smantellare i diritti, cosa che nemmeno all’ex ministro Sacconi è stata concessa».

Airaudo minaccia quindi l’autunno caldo? «Gli “autunni caldi” non li decidono neanche i sindacalisti, li decidono i lavoratori». Ma non è che il rapporto privilegiato di Maurizio Landini, leader della Fiom, con Renzi stia “ammorbidendo” la posizione? «No, Landini è un sindacalista puro e quindi si rivolge al premier Renzi come ha fatto con gli altri premier. Fa bene a dire “il governo è questo” e discutere con il governo del problema della siderurgia e della deindustrializzazione». Il punto è che si ricama tanto da questo feeling tra i due. «Il premier usa questi incontri per distinguere sindacalisti buoni e cattivi, e questo è un gioco che non gli andrebbe concesso: evidentemente Renzi punta a dividere i sindacati. È un vecchio trucco dei “padroni”». La domanda a questo punto è: ci sta riuscendo? «Renzi crede di poter conquistare tempo e libertà di manovra facendo sembrare il sindacato una delle centrali della conservazione. Io posso dire che proprio lui aveva promesso la legge sulla rappresentanza sindacale della quale ancora non c’è traccia. Bene, gli rinnovo da qui la sfida: se vuole davvero rinnovare il sindacato, molto più di qualunque tweet, conceda ai lavoratori le loro “primarie”. E se ha bisogno di consigli su come fare ci sono già diverse proposte di legge, una a nome mio, già presentate…».

 

Antonio Rapisarda

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