Che ognuno avrà il futuro che si conquisterà.

Gianni Rodari

MAZZELLA A FQ: “LA RAI DEL FUTURO? UN CANALE, NIENTE PUBBLICITA’ E VIA L’INFORMAZIONE SE NON ISTITUZIONALE”

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Matteo Renzi fa grandi annunci di voler riformare la Rai, la vigilanza, in sostanza la presenza dello Stato e della politica nel sistema radiotelevisivo. Al momento, non si sa se è solo un ukase e le paludi politiche lo costringeranno a recedere o a limare di molto le sue intenzioni; oppure, possa avere la meglio in un braccio di ferro contro i partigiani dello statu quo. C’è chi, giovandosi di una grande esperienza in campo giuridico, non solo sostiene la visione del premier, ma addirittura osa oltre. E’ Luigi Mazzella, Vicepresidente vicario emerito della Corte Costituzionale e già Avvocato generale dello Stato; nel corso della sua lunga carriera di grand commis dello Stato si è occupato anche di leggi sullo spettacolo. Quella che Mazzella propone per il sistema radiotelevisivo è una vera rivoluzione, in nome di una liberalizzazione spinta, ma anche per impedire alla politica di intervenire pesantemente, come avviene oggi, nel sistema radio-televisivo.

Si parla di riforma del sistema televisivo, cosa ne pensa?

Una vera, utile e proficua riforma ci sarà soltanto se l’esercizio dell’attività radio-televisiva sarà reso totalmente libero. L’uso degli strumenti di diffusione dei suoni e delle immagini, siano essi di natura analogica, satellitare, digitale terrestre, o via cavo, non può essere soggetto ad altro che al rispetto da parte dell’esercente, dei diritti posti a tutela dei cittadini, dalla Costituzione, dall’ordinamento penale e da quello civile. Avviene così per l’informazione scritta, per la carta stampata: non vedo perché lo stesso non debba avvenire per quella radio-televisiva, per le emittenti di vario tipo. Ciò che cambia è soltanto il supporto di diffusione della comunicazione non la sostanza.

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Esclude in tal modo, mi pare di capire, la presenza necessaria di una struttura pubblica televisiva? 

Perché? C’è per caso una struttura pubblica nell’informazione scritta, quella che avviene attraverso l’uso della carta stampata? C’è qualcuno che ne sente la mancanza?

In Gran Bretagna, dove, invece, non c’è una Costituzione scritta e ci si basa sul diritto consuetudinario, una struttura pubblica c’è

Non dobbiamo necessariamente andare sempre a rimorchio di altri Paesi. Peraltro, ad oggi la situazione in Inghilterra è questa; ma movimenti che chiedono una riforma nella direzione da me sostenuta sono abbastanza robusti e consistenti, soprattutto in quel Paese che incarna al meglio le idee di libertà e di democrazia.

Nell’ipotesi che la sua proposta sia considerata irrealizzabile in Italia, come concepirebbe un servizio televisivo pubblico in Italia?

L’elefantiasi della Rai costituisce una ragione in più per eliminarla dal panorama dei “mostri” che condizionano la nostra vita di Paese libero e democratico ed andare in direzione di una semplificazione. Di tutte le beghe tra le forze politiche per conquistarne l’egemonia, gli italiani ne farebbero volentieri a meno. Si tratta di un mercimonio scandaloso! In ogni caso vedrei – ma solo come extrema ratio – la sopravvivenza di una sola Rete, con finalità esclusivamente culturali, finanziata per l’ottanta per cento dagli abbonamenti televisivi degli utenti e con il venti per cento dallo Stato. Al solo scopo, però, nel secondo caso, di affidare, con gli strumenti dell’evidenza pubblica, a tale Rete, il compito di produrre programmi radiotelevisivi volti a valorizzare le bellezze turistiche, paesaggistiche, storico-artistiche, archeologiche, architettoniche e culturali del Paese. Se è vero che stiamo per entrare nel “primo mondo”, quello della società postindustriale e dei servizi, per questi ultimi dobbiamo attrezzarci. Il turismo e il patrimonio artistico, storico, archeologico, architettonico e culturale sono gli àtout per la nostra ripresa economica. Attirare l’attenzione della clientela mondiale con dei buoni prodotti televisivi non costituirebbe forse un gran bene?

LUIGI-MAZZELLA

Se non ho inteso male, tali prodotti sarebbero commerciabili?

Certamente, sì. E capaci di generare reddito.

E come disciplineresti la governance, l’organico e il trattamento economico ai vari livelli d’impiego e d’occupazione?

Necessariamente con legge dello Stato. La governance, per effetto della riduzione dei compiti della struttura pubblica a una programmazione di tipo culturale dovrebbe essere affidata, per l’indicazione delle linee d’indirizzo, a personaggi di chiara fama del mondo della cultura; la gestione l’affiderei, invece, a un amministratore delegato esperto di management. L’accesso alla carriera dovrebbe avvenire soltanto sulla base di un pubblico concorso. I favoritismi sarebbero in tal modo banditi, almeno in via di principio. E vi sarebbe una fonte di corruzione politica in meno.

Non ha previsto tra i compiti della Tv pubblica l’informazione: è una dimenticanza o un’omissione voluta?

RAIE’ un’omissione volutissima! Dalle trasmissioni del servizio pubblico dovrebbe essere bandita ogni informazione che non sia di carattere istituzionale. Avviene così con la stampa, la Gazzetta Ufficiale ne è un luminoso esempio. Naturalmente, in caso di calamità naturali o di altre occasioni di pubblica emergenza il servizio pubblico nazionale sarebbe obbligato a seguire scrupolosamente le direttive dell’Autorità di governo, deputata a predisporre le misure necessarie per contenere il pericolo e il danno, dandone puntuale informazione. Insomma, il divieto riguarderebbe ogni tipo d’informazione legata all’attualità politica.

E tutte le dotte e cospicue discussioni giuridiche sulle esigenze di obiettività dell’informazione, di pluralismo, di diritto d’accesso di ogni cittadino e via discorrendo?

La storia della Rai ha dimostrato che si tratta di semplice fole, fandonie per tele-utenti gonzi. In un Paese che sin dai lontani tempi di Dante (per tacere delle epoche anteriori) si dimostra tendenzialmente fazioso, non c’è proclama d’indipendenza, d’obiettività, di pluralismo che tenga. Non sono io a dirlo ma la storia della Rai.

Cos’altro escluderebbe per legge dalla Tv pubblica?

Ogni forma di pubblicità diretta o indiretta.

E quali limiti porrebbe dal punto di vista dell’iniziativa economica agli operatori privati del settore radiotelevisivo?

In un mondo globalizzato: nessuno! Ogni limite posto a investitori e società operanti nel settore, anche se di nazionalità straniera o con la costituzione di consorzi per la costruzione e gestione degli strumenti di diffusione, dovrebbe ricondursi esclusivamente al rispetto delle regole già vigenti in materia nell’ordinamento giuridico italiano. Il progresso tecnologico e la libertà d’iniziativa non possono essere “arrestati” per legge.

E i poteri di controllo e di vigilanza?

Non c’è l’Agicom? E’ un’Autorità indipendente: è ciò che ci vuole per non ricadere sotto il controllo esiziale della politica. Naturalmente, ne vanno rivisti i meccanismi, soprattutto quelli di scelta della governance. Bisogna evitare che rientri dalla porta ciò che è buttato via dalla finestra.

Escluderebbe ogni interferenza di organi parlamentari o del potere esecutivo?

Nel modo più assoluto, sempre che vogliamo veramente restituire dignità e credibilità sia a chi gestisce le Tv sia a chi pretende, spesso anche forsennatamente, di metterci le mani sopra.

Annamaria Barbato Ricci

L'Autore

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