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“Never Alone”, il videogioco sugli Inuit fatto dagli Inuit

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Può un videogioco preservare una cultura millenaria a rischio di estinzione? Può la modernità correre in aiuto della tradizione? Non sarà una panacea ma sicuramente l’esperimento dell’americana E-Line Media, casa editrice specializzata in pubblicazioni multimediali per l’infanzia, apre un orizzonte innovativo ed interessante per il settore dell’intrattenimento a scopo didattico. Si chiama “Never Alone” ed è il primo videogioco basato sulla cultura indigena americana. Realizzato dalla E-Line Media in collaborazione con il Cook Inlet Tribal Council, Never Alone è basato sul folclore del popolo Inuit ed è frutto di più di due anni di lavoro, di ricerche etnografiche e antropologiche.

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Il videogioco

In Never Alone, “Kisima Ingitchuna” nella lingua inuit dei nativi dell’Alaska, i giocatori possono vestire i panni di Nuna, una giovane inuit e della sua volpe artica, alle prese con una serie di rompicapi “ambientali”. Una combinazione di storie, ambientazioni e personaggi tramandati per generazioni dagli indigeni dell’Artico, le cui radici e patrimonio risalgono a circa 3mila anni fa. Con immagini e temi disegnati direttamente dagli inuit e da altri nativi dell’Alaska, Never Alone offre una grafica che enfatizza la sensibilità e la prospettiva dei popoli artici e consente ai giocatori di cooperare per sopravvivere in ambienti difficili. Otto capitoli ambientati tra banchine di ghiaccio, tundra artica, grotte ghiacciate sottomarine e foreste boreali e la possibilità di accedere ad appronfondimenti interattivi sulla vita degli Inuit, raccontati direttamente dalla voce narrante degli indigeni. Il videogioco è disponibile tramite download digitale su Xbox One, PlayStation 4 e Pc, in lingua inuit con sottotitolazione in dieci lingue diverse.

Una nuova frontiera, i “world games”

il videogioco never alone sugli inuit. qui li davanti ad una loro tipica abitazione

popolo inuit

“Never Alone è il primo videogioco del suo genere che rispecchia le tradizioni e i valori degli abitanti nativi dell’Alaska, offrendo allo stesso tempo un intrattenimento di qualità a tutti i tipi di giocatori: dai più esperti fan della cultura indie alle famiglie – ha detto Alan Gershenfeld, presidente e co-fondatore di E-Line Media – Crediamo che l’interesse del mercato per esperienze di gioco originali, che esplorino, celebrino e diffondano le culture del mondo in modo innovativo e vivace sia in crescita.  Questo è per noi l’inizio di un’entusiasmante iniziativa a lungo termine, che si prefigge di aprire la strada a un nuovo genere di world games”. Quelli che Gershenfeld definisce “world game”, e che potremmo tradurre come “giochi basati sulle culture del mondo”, rappresentano non solo una nuova fetta nel mercato dei videogiochi ma anche e soprattutto una metodologia innovativa di lavoro per l’industria del settore. “Per realizzare Never Alone, abbiamo dovuto rompere con il nostro metodo tradizionale di lavoro – spiega Sean Vesce, uno dei direttori creativi di E-Line Media – e integrare nel processo creativo una comunità che ne sapeva veramente poco dei mezzi tecnici ma che poteva darci indicazioni fondamentali a livello di contenuti”. Il risultato è stato un prodotto di alto livello grafico e tecnologico e, al contempo, corretto e rispettoso sotto il punto di vista filologico e antropologico. Soddisfatta anche Gloria O’Neill, presidente del Cook Inlet Tribal Conucil, associazione non profit che preserva la cultura dei nativi dell’Alaska: “La grande popolarità dei videogiochi si è dimostrata un mezzo estremamente potente – ha dichiarato a margine della presentazione del prodotto, avvenuta a metà novembre – non solo per stabilire un rapporto tra la nostra comunità e i giovani, ma anche per celebrare e condividere la nostra cultura con il resto del mondo”.

L’impatto visivo dei videogiochi attuali, d’altronde, è ormai così forte da poter competere ad armi pari con quello del mercato cinematografico. Ma se nella visione di un film lo spettatore rimane in un ruolo passivo, con il videogioco siamo di fronte ad una fruizione “attiva”, un’interazione che è anche immedesimazione con il personaggio utilizzato. E a questo punto, forse, dall’identificazione alla volontà di conservare e preservare dei patrimoni così fragili come quelli di un popolo isolato e di tradizione orale, il passo potrebbe essere più breve del previsto.

Giulia Di Stefano

L'Autore

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