Il futuro entra in noi, per trasformarsi in noi,
molto prima che accada.

Rainer Maria Rilke

L’avventura della pista ciclabile, la proposta indecente di Ilaria

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Non lo avrei mai detto. Eppure è un’esperienza che ogni singolo individuo dovrebbe vivere. Di cosa parlo? Ma della pedalata nella pista ciclabile cittadina. E non trovate scuse, non serve possedere una bicicletta, visto che si trova sempre chi la affitta, in vari punti del percorso. Fa bene alla salute, allo spirito e vi consente di scoprire tantissimi scorci inaspettati della vostra città. Chi vive come me a Roma, ha la possibilità di fare un tuffo in mezzo alla campagna, rimanendo nella Capitale! Infine, se vi scollate da divani e palmari, potreste arrivare a vivere una vera e propria “iniziazione”, superando i vostri limiti, proprio come è accaduto oggi a me grazie alla cara amica Ilaria, già nota ai lettori di Futuro Quotidiano per essere “partner in crime” della “cerca senza fine” nelle borsette femminili.

La nostra esperienza. La “proposta indecente” di Ilaria

Dopo una cena luculliana del sabato sera a base di tortelli fatti in casa, pollo con spezie e leccornie varie, forse mosse da sensi di colpa, io e la succitata Ilaria decidiamo per l’indomani di affittare le bici e partire da Ponte Milvio verso Labaro, sotto l’insistenza della mia “compagna di merende”. Questo è il preludio della “proposta indecente”, ma anche dell’inconsapevole “iniziazione”. Ed eccoci, perciò, in una bella domenica pomeriggio di aprile ad affittare due “Gullo” (famosissima marca cinese), oltretutto semi-arrugginite, e ritrovarci in men che non si dica a vivere un “trip” bello e buono.

L’andata

pista ciclabileDopo i primi dieci minuti di assestamento, del resto erano forse 15 anni che non salivamo su una bicicletta, caratterizzati da gridolini isterici e richieste (la mia) del tipo “Ma le frecce non ci sono? Come faccio se devo accostare?”, inizia l’avventura. Gasate come chi ha appena trovato il petrolio nelle sue terre, iniziamo a pedalare con una certa costanza, passando noncuranti attraverso mercatini dell’antiquariato, invitanti bar all’aperto (l’opzione “chissenefrega mi faccio uno Spritz” è sempre in agguato), banchetti per raccolte firme varie. Quando inizia la pista vera e propria comincia a salire l’adrenalina: sole in faccia, venticello gradevole, spazi verdi inaspettati che esplodono tutto intorno a noi. Dopo l’inevitabile dolore muscolare dell’inizio, ad un certo punto si cade in una sorta di “trance”, ci si auto-anestetizza, e si pedala e basta. Le ruote diventano le proprie gambe. Così passiamo attraverso maneggi, laghetti artificiali, mandrie di pecore. E ci si rende conto che se non si esplora, se non ci si sporca le mani, se non si ha il coraggio di buttarsi nell’ignoto, non si vive davvero. Al massimo si sopravvive. Certo, ad un determinato punto sembra che la meta, Labaro, sia inarrivabile. Ma pedalando, senza fermarsi, alla fine si arriva sempre! Difatti, ci siamo arrivate, madide di sudore, doloranti e piene di adrenalina e gioia. Ben 12 km! Certo poi…il ritorno!

Il ritorno

Rifocillate – stavolta senza rimorsi – con dei legittimissimi dolcetti, ci rendiamo conto del dramma, quello di dover tornare! Ed è il principio della “catarsi”, del rito vero e proprio di “iniziazione”: quello della misura della propria tenacia. Fa male tutto, gira quasi la testa. Pensiamo di aver esagerato (e, di fatto, è così) e che non ce la faremo mai. Ma certo due donne come noi non si piegano. Vanno avanti come treni. E, consce del rischio di imminente “coccolone”, ripartiamo. All’andata era tutta una chiacchiera, il ritorno è di due automi con viso paonazzo, silenziosissime. Le salite sono infinite, il vento sembra un nemico. Tutto duole. Ma si deve pedalare, baby! Dobbiamo riconsegnarle. Così a metà tragitto (ancora 6 km) scatta di nuovo l’anestesia, la leggerezza che si ottiene solo osando. E osservo personaggi curiosi come la sosia di Margherita Hack su di una bici ridicola, mi dispiaccio per l’altissimo numero di lombrichi schiacciati, sento odore di erba e, soprattutto, di vita. E così capisco che questa esperienza altro non è che una metafora. Non ho guadagnato solo tonicità fisica ma, soprattutto, interiore. E Ilaria, sono certa, ha percepito l’esperienza nella stessa maniera. Pedalate, gente, pedalate. E non fermatevi mai!

Carla Cace

L'Autore

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