La gente ha sempre dichiarato di voler creare un futuro migliore.
Non è vero. Il futuro è un vuoto che non interessa nessuno.
L'unico motivo per cui la gente vuole essere padrona del futuro
è per cambiare il passato.

Milan Kundera

Smart city e il caso Roma: la stupidità delle città intelligenti

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Il nuovo paradigma della “smart city”: è questo il fantasma che si aggira tra mille convegni affollati da amministratori pubblici alle prese con termini esoterici e consulenti che hanno bisogno di piazzare tecnologie di cui non è chiara l’utilità. Manca la strategia, manca la comprensione della natura dei problemi che dobbiamo risolvere, del contributo che quelle tecnologie possono fornire e dei cambiamenti – organizzativi ed istituzionali – che esse innescano. Spesso manca anche il buon senso, il pragmatismo, la sensibilità politica di chi gestisce questi processi per capire che le “città intelligenti”, ad esempio, diventano fattibili solo se riescono ad arrivare alla quotidianità delle persone. Ed invece le città italiane sembrano, a volte, andare a marcia indietro. Verso la stupidità. Tra proclami di modernizzazione, ovviamente. È il caso della città capitale.

Roma e i folli prezzi del carburante

Roma, lo dicono i numeri rilevati attraverso i Gps ed elaborati dalla società di consulenza Vision & Value qualche anno fa (sotto al pezzo il link allo studio e alla conferenza nella quale verranno discussi alcune proposte innovative), riesce a costare – solo per il carburante – più di 500 euro per abitante all’anno; Milano costa ai milanesi meno di 200 euro. È evidente che spostarsi è uno svantaggio competitivo assai sostanziale (considerando inoltre che i milanesi hanno un reddito pro capite molto superiore) che non solo pesa nelle tasche, nei tempi e nei polmoni degli abitanti della Capitale, ma anche sulla capacità di una città di attrarre competenze e talenti (come dimostra una qualsiasi analisi seria dello stato dell’industria creativa). Nessuno finora ha mai corretto questa situazione. Rutelli, Veltroni, Alemanno hanno tutt’al più provato a difendersi, ricordando quanto enorme fosse il problema. Nessuno però ha mai tentato di fare cose semplici: ad esempio, un progressivo spostamento delle persone dalle automobili grandi, e più inquinanti, a mezzi più leggeri e meno congestionanti.

E poi è arrivato Marino

È arrivato poi Marino. Le speranze di chi scrive erano, all’inizio, elevate per due motivi. Il nuovo Sindaco non è romano e, dunque, non soffre di quel cinismo che ormai sembra schiacciare chi da troppo tempo vive nella città eterna. E’ stato un “cervello in fuga”, ha studiato e lavorato a Princeton e avrebbe dovuto avere un approccio razionale alla complessità che condanna Roma. Invece, il Sindaco sembra governare (anche lui) più per proclami che con l’obiettivo di rendere più intelligente, vivibile, serena una città costantemente sull’orlo della crisi di nervi. Sulla mobilità, ad esempio. Giustissimo preservare il centro storico. Ma non si può buttare con l’acqua sporca dei Suv anche il bambino che è la necessità delle persone di spostarsi e vivere. Basterebbe fare due calcoli per capire che c’è solo la retorica di qualche associazione di ambientalisti non abituati a far di conto, nella crociata contro i motorini e la decisione di estendere anche ai veicoli su due ruote il divieto di accedere al centro storico.

Automobili, uno dei più grandi sprechi della società industriale

Il problema enorme delle automobili – non solo a Roma – è che esse costituiscono da sempre uno dei più grandi sprechi della società industriale. E ciò avviene per una ragione semplice: sono oggetti che, in media, pesano 1500 chilogrammi (una tonnellata e mezzo, ripeto per sottolineare l’enormità) e che spostano mediamente 1,2 persone, cioè cento chili di carne umana. Un rapporto tra leva e peso trasportato pari a quindici sarebbe ritenuto assolutamente non accettabile in qualsiasi contesto teorico. E invece le automobili hanno dominato le città del mondo che anzi gli sono state disegnate attorno. Perlomeno, lo hanno fatto fino a qualche anno fa, perché da Berlino fino Shangai si stanno attrezzando per sostituirle e le industrie automobilistiche – una volta dominatrici nella classifica delle multinazionali più grandi – si stanno rimpicciolendo. In questo senso, la città più bella del mondo è un’eccezione visto che sono tutti ancora fermi sul lungotevere. Tali oggetti consumano, quindi, 1 litro (che costa 2 euro) ogni 10 chilometri ed emetteranno nel 2015 (se la direttiva europea sarà rispettata) 130 grammi di C02 al chilometro.

E i motorini?

Completamente diversi i numeri di un motorino. Se prendiamo i parametri di uno tra i più venduti, l’Honda 150, esso pesa 130 chili e trasporta lo stesso carico di un’automobile. La conseguenza – sempre lapalissiana – è che i consumi sono quattro volte inferiori e le emissioni di 60 grammi al chilometro (la metà del target al 2015 per le automobili di media cilindrata). E allora che senso ha, come pretende  l’ultima iniziativa del Comune e dell’Atac, modificare le regole (mai chiare peraltro) di quelli che pomposamente furono chiamati  “varchi elettronici” per estendere ai motorini il divieto di ingresso nelle zone a traffico limitato (Ztl)? Perché penalizzare chi decide di spostarsi dalla macchina al motorino riducendo di un quarto il costo che con la sua mobilità infligge agli altri e all’ambiente? Perché non proteggerlo semmai visto che paga i benefici dell’unico antidoto al traffico che i romani hanno trovato ingoiando polveri sottili e rischi (aumentati dalle buche di strade che l’amministrazione comunale non è mai riuscita a rendere normali)?

Rendere le città intelligenti

Bisognerebbe rendere la città intelligente. Utilizzando le tecnologie per quel (tanto) che possono dare in un progetto di trasformazione. Far pagare, dovunque e non solo al centro, attraverso sistemi satellitari una tassa rapportata al peso dei veicoli, alla vicinanza con i monumenti, ai tempi di utilizzo dell’infrastruttura incoraggiando l’utilizzazione di veicoli più piccoli. Spostarsi verso l’elettrico con un investimento infrastrutturale che rientrerebbe di certo. Promuovere le bici sostenendo i costi, spesso piccoli, di manutenzione delle piste ciclabili che abbiamo.  Sviluppare un trasporto pubblico più competitivo utilizzando lo spazio lasciato libero dalle automobili. Proteggere i motociclisti e incoraggiare l’introduzione di ciclomotori più stabili. E, ovviamente, far partecipare attraverso la rete tutti a decisioni così importanti per l’esistenza delle persone. E rendere – altrettanto ovviamente – immediatamente trasparente (per dare un senso alle battaglie sugli “open data”) l’elenco delle persone e delle organizzazioni a cui è concesso un permesso. Questione di efficienza e di democrazia. C’è qualche iniziativa privata che sta, finalmente, prendendo piede come il car sharing di Eni e della tedesca Car2Go ma solo dopo che anche su quel fronte l’iniziativa dell’amministrazione comunale era completamente fallita (tremila utenti su due milioni e mezzo di abitanti). Bisognerebbe metterci l’intelligenza di chi osserva dall’esterno sulla base dei numeri. Ed invece le città italiane sembrano, a volte, diventare persino più stupide.

Francesco Grillo

 

Link al

paper di Vision & Value sul traffico

http://www.visionandvalue.com/insights/Obiettivo_citta_senza_traffico.pdf

conferenza internazionale di Bologna di Venerdì 23 su smart mobility

http://www.smartcityexhibition.it/it/mobilit%C3%A0-sostenibile-nelle-aree-urbane

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