La mutilazione per cui la vita perdette quello che non ebbe mai,
il futuro, rende la vita più semplice,
ma anche tanto priva di senso.

Italo Svevo

Un Premium è per sempre

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Breve emigrazione in Germania di una giornalista freelance

Premium TheBridgeAndare al Premium – International Fashion Trade Show di Berlino – è stata l’esperienza più intensa, e terribilmente gelida, della mia carriera negli ultimi tre anni. Una fiera che è stata capace di farmi dimenticare per un momento l’ebbrezza che solo le Fashion Week sanno darmi. Deutschland über alles, non c’è che dire. E non perché si sia scatenata subito la corsa alla festa più cool, ma perché per la prima volta ho partecipato a eventi di moda senza alcuna distrazione, con il semplice puro scopo di fare il mio lavoro. Del resto, cinquant’anni fa si emigrava in Germania per lavorare, il ragionamento non fa una piega. No work no party e la stampa di settore è la benvenuta, ma che non si aspetti cadeaux e favori cui è solitamente avvezza, perché qui si cammina, si raccolgono impressioni e press-kit, e si parla parla e parla con i rappresentanti dei marchi, e con “rappresentanti” intendiamo designer, Ceo, direttori generali, Sales Manager. Il tutto senza bisogno di telefoni, intermediari, lunghe attese, semplicemente passando di lì, un evento assolutamente eccezionale.

Al Premium Fashion + Matematica : Tempo = Successo

Premium DondupOtto hall per centinaia di stand, fratto migliaia di brand: il risultato è un giro immenso, su più piani, impossibile da compiere (soprattutto se si gira coi tacchi, ndr.). Giovani emergenti e vecchie guardie di altissimo livello condividono tempo e pareti, lavorando gomito a gomito per tre giorni. Si può entrare e uscire a piacere dallo stand di Liebeskind, Montgomery, Missoni, Jil Sander, Dundop, Guardiani, Moschino o The Bridge, visitare le novità di Karl Lagerfeld o scoprire le linee dei designer più futuristi, accolti nella psichedelica Dissonance Area. Ma perché si va in fiera? E che cosa ci si aspetta? Alcuni degli “addetti ai lavori”, tra cui il Sales Manager di The Bridge, mi hanno spiegato che «in fiera si viene soprattutto per fare contatti». «Cioè per chiacchierare?», incalzo curiosa, «Esatto – mi risponde – qua noi veniamo per riconfermare vecchie amicizie e per generarne di nuove. Poi si deve puntare su follow-up positivi al rientro. Ci vuole tempo, ma l’attesa e il buon lavoro pagano sempre». Dunque è tutto qui il segreto: il tempo.

Quanto tempo è il tempo? Cosa ci aspettiamo e in quanto lo vogliamo indietro? E come gestiamo le tempistiche lavorative? (scrivendo alle due di notte direi male). Da buona italiana non mi piace aspettare, odio le file, pretendo che le cose si risolvano in fretta e troppo spesso cado nella smaniosa trappola del “tutto subito”, dimenticandomi che “per fare un albero ci vuole un seme”. Eppure deve essere così, mia nonna diceva che «il ragù deve cuocere per ore o è solo carne e pomodoro». L’ho pensato mentre tamburellavo sul caldo legno di un tavolo della sala stampa e bevevo un tè. A giudicare dalla metafora è evidente che avessi fame. Niente aree top per i giornalisti, solo un salottino con poltroncine e tavolate – in puro design danese anni Settanta – per chi volesse aprire il pc e scrivere. L’atmosfera ideale dopo ore passate in piedi, non fosse per il leggero appetito (altrimenti detto buco allo stomaco). Ma i tedeschi pensano a tutto e, nel piazzale di raccordo dei vari padiglioni, piccoli chioschi servono zuppe calde e würstel arrostiti con patate, alla cifra proletaria di 4,50€. Un lusso a -2 gradi. E chi lo dice che la moda non è per tutti?

Samantha Catini

L'Autore

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