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Alan Kay

“Un uomo certe cose non le fa”. Il maschio incivile e il suo immaginario…

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“Un uomo certe cose non le fa”, mi si diceva da bambino per educarmi. Grazie a chi si prende cura di lui, l’infante impara a evitare modi di dire e d’agire ritenuti sconvenienti o addirittura riprovevoli. Lo impara, ma talvolta finge di averlo smarrito, in una crescente protesta virile; recupera l’insegnamento quando serve, occasionalmente lo stravolge a proprio comodo, in molti casi alla fine lo rielabora e integra in un assetto compiuto di personalità tollerabile o persino amabile nel consorzio sociale. Così, dove c’era un minore, compare un adulto.

In questa proposta di riflessione mi riferisco al comportamento di alcuni “adulti” di sesso maschile, e solo a loro. Quelli, cioè, dimentichi delle buone maniere apprese (o forse no) in tenera età e poi (di certo) ritrovate nell’esempio durante la vita in comune a scuola e in seguito sul posto di lavoro, e comunque disattese. Perché? Anche enucleando un piccolo gruppo di esponenti di una categoria (i maschi incivili), per poi evidenziarne soltanto i più appariscenti tratti connotativi, si rischia un’odiosa tendenza alla generalizzazione, troppo simile nel contenuto a una lamentazione sussiegosa ex cathedra. A volte, però, vale la pena di correre rischi.

Frequento da molti anni un circolo sportivo e di ristoro, una Spa – come si dice – ospitata all’interno di un lussuoso albergo romano, e naturalmente lì ho molti amici, vi ritrovo conoscenti in periodico transito e incrocio facce nuove destinate a un rapido oblio. Si tratta di un posto assai vicino a casa mia, ottimo alleato perciò nella lotta tra il minimo desiderio personale di fare sport e la massima pigrizia ombelicale. Il prestigio della struttura seduce e lascia presagire momenti di relax in ambiente pulito e confortevole; tutto è molto curato e il personale d’hotel impeccabile.

In quest’angolo di paradiso, non lontano dal centro della Capitale, dove chiunque si può ricaricare e per qualche ora stare un po’ in pace, non è raro imbattersi “nel maschio incivile”. Lo individui facilmente: che egli proceda a testa bassa e deviata da un torcicollo d’occasione, utile a non incrociare lo sguardo altrui, o che nella marcia amplifichi la rigidità del busto, artificio vano per simulare una possanza di spalle assente in un mingherlino, lo becchi, è lui. Entra con te (dopo di te) in ascensore, ti affianca al desk in attesa di ascolto, cammina con te fino alla piscina esterna, sempre in un imbarazzante mutismo. Ancora peggio: ti raggiunge nello spogliatoio, vi entra con la postura descritta senza salutare nessuno degli ospiti già presenti. A postazione raggiunta, magari sbuffando per difficoltà esistenziali spesso inconsistenti, il cursus honorum dell’incivile che si poteva benevolmente considerare solo timido o ombroso si arricchisce di altri elementi identificativi inconfutabili: al non saluto segue al massimo un farfuglio di scemenze centellinate solo al vicino di panca o urlate all’amico assordato in doccia; si procede con l’immancabile cellulare a sirena spiegata e si finisce, dopo l’allenamento o la sauna, con l’elargizione di odiose tracce del proprio passaggio (asciugamani abbandonati sul pavimento anziché riposti nelle ceste ad hoc, pericolosi laghi d’acqua creati da un vagare inutile o solo vanitoso, lavabi e cessi imbrattati e così abbandonati). Purtroppo, personaggi di tal fatta non costituiscono un’esigua minoranza; magari non tutti centrano l’en plein delle “doti” descritte, ma un tale fenomeno così diffuso merita, credo, una riflessione in più.

La tendenza all’afasia del Maschio è nota, l’orrore per il garbo e la disponibilità gratuiti pure, la difesa dal contatto intimo con altri simili giustificata a priori. Eppure, la causa della franca maleducazione riscontrabile spesso nei comportamenti di certi uomini, diversi anche per estrazione socioculturale, potrebbe essere riconducibile in non pochi casi a un disturbo psichico, più spesso dell’identità. Un’identità sofferta, per meglio dire, che in casi gravissimi può sfociare in forme di aggressività senza controllo e dalle conseguenze disastrose. Le cronache di tutti i giorni ce ne rendono conto, ma qui parlarne oltre ci porterebbe “fuori tema”; torno quindi al piccolo sintomo spia di un disagio comunque drammatico.

Si tratta verosimilmente di una forma minore di “isteria” che, a dispetto dell’etimo, è patologia che colpisce anche i maschi, in versioni polimorfe. Freud e Breuer pubblicano nel 1989 Studi sull’isteria, testo fondamentale della proto-psicoanalisi, in cui, grazie ai numerosi concetti e ai casi clinici esposti, emerge cristallina la definizione della matrice di tale patologia: la paura; più precisamente, il terrore sostenuto dai propri desideri inconsci: incestuosi e di competizione mortale col padre. In maniera irrazionale l’isterico pensa che, intorno a lui, contro di lui, aleggi un’intollerabile minaccia alla sua unicità e al suo legittimo desiderio di essere ciò che è. In particolare, i soggetti più lesi scambiano il timore di essere ostacolati nella realizzazione di sé con l’impedimento a conquistare liberamente tutto ciò che essi vogliono.  E perciò questi uomini vivono male ogni desiderio di godimento (sempre fisso in uno stato teorico mai attuabile) e ogni contatto reale col mondo degli altri simili, ben più prodigo di frustrazioni e sconfitte che di riconoscimenti e successi, dando così la stura a una malattia i cui primi sintomi possono essere proprio l’intolleranza e l’inciviltà.

Riconoscere, rispettare e amare le regole, da quelle elementari della buona educazione sino a quelle che impone il codice penale, comporta una pericolosa diminutio dell’insindacabile volontà individuale (legittimata solo dall’essere come mi pare e dall’avere tutto ciò che desidero). Chi “pensa” ciò, solitamente, soffre a causa di un’identificazione con la figura paterna (la Legge) in parte o del tutto fallita (anche per interferenze materne patologiche), giacché poco o per niente emancipata dal confronto infantile persecutorio con un’entità autoritaria ma muta, in cui alla parola non è stata data la possibilità di sviluppare il concetto binario dell’amore e del sacrificio.  In questo deserto emotivo la prevaricazione sostituisce la condivisione, il timore scarnifica ogni capacità critica. Il “testimone della virilità” passato da quel padre a quel figlio è elettrizzato, reso incandescente dall’angoscia della sfida e della mancanza d’appello se fallisci, e va quindi usato d’anticipo contro gli altri che brandiscono senza regole il proprio, pure se non si vede. È un delirio tutto al maschile: affiora dall’inconscio in forme d’idealizzazioni, isteriche per l’appunto, in cui non è ammissibile nessuna minima forma di cedimento all’altro, al suo rispettoso riconoscimento e tantomeno all’ascolto dei suoi bisogni.  Questo tipo di maschio, più facilmente incivile, cercherà nel sogno senza speranza la speranza di realizzare un assoluto, che non è mai di questo mondo; egli sostituirà, falsificandolo nel tempo, il normale e vivificante desiderio umano in una bestiale avidità, iniziando col non rispettare limiti e corsie della pista in cui deve correre con tutti gli altri.

Cercando la soluzione di un rebus, inventato dai maschi nel tentativo di distinguersi dalla natura matrigna, femminile persecutoria, l’uomo insegue un mito e all’esterno si mostra, artefatto, per quello che in fondo non è: gira come una battona truccatissima. Infatti, ho avuto modo di notare che alcuni degli incivili di cui sopra sono molto diversi nel privato, protetti da certezze acquisite e consolati da specchi che riflettono solo l’ovvio, arrivando persino a sostenere una relazione genuinamente amicale, a sfiorare tenerezza e benevolenza verso i deboli, a cedere fino alla perdita. Non sono tantissimi ma ci sono, e come spesso accade, con appena “un filo di trucco”, sono più aggraziati, più belli. Quel filo di trucco impreziosisce, nasconde e rivela modi e attenzioni insospettabili, avviati in silenzio dal rodaggio di calcoli comunque necessari a prevenire l’eventuale azione ostile del prossimo, uomo o donna che sia.

L’incivile ad ogni costo, quello che non ripulisci neanche se rinasce, continua invece ad andare da un capo all’altro del proprio immaginario, simulando e mentendo, come solo gli isterici veri di entrambi i sessi sanno fare, magari sprigionando anche un certo fascino, unicamente attento solo a mostrarsi in un certo modo. Peccato però che, convinti di atteggiarsi a uomini-uomini, molti maschi sfortunati si allontanano dal gruppo, senza salutare, col tratto e il portamento di desolate zitelle malmostose.

 

 

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