Ecco qual è il problema del futuro:
quando lo guardi cambia perché lo hai guardato.

Lee Tamahori

Il viaggio è una condizione dell’anima, i viaggi sono i viaggiatori

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“La vita è quel che decidiamo di farne. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma quello che siamo”. Fernando Pessoa. Il viaggio ricrea. Il viaggio è sogno. Il viaggio è estensione della propria anima. Non importa dove si approdi, l’importante è come lo si affronta. In questa società sempre più distratta e isterica, anche il viaggio è preconfezionato, impacchettato e impersonale.

Il Grand Tour 

viaggiNel passato era pura Rivelazione: basti pensare al Gran Tour, il “viaggio dei viaggi”. Si trattava di un’esperienza formativa dei giovani aristocratici europei che, però, assunse una connotazione interclassista già nell’età
dell’assolutismo. L’intelligenza, il gusto, il piacere della musica e delle arti iniziano ad essere percepite come qualità che prescindono dallo status sociale. Montaigne offre una precoce ed alta testimonianza di questo sentimento negli
Essais (1580), quando scrive: “Io stimo tutti gli uomini come miei compatrioti e abbraccio un Polacco come un Francese, posponendo questo legame nazionale a quello universale e comune”.  Viaggio come scoperta dell’altro. A metà del Settecento sarà il poeta Samuel Johnson, noto come Dottor Johnson, a confermare il carattere pan-europeo di tale sentimento. Questo programma ideale prese forma malgrado crisi e pause più o meno lunghe, a causa dei conflitti ricorrenti tra le nazioni e al lacerante scontro che oppose la Chiesa di Roma al mondo protestante. Ma, con la conclusione della Guerra dei Sette anni nell’inverno del 1763, l’Europa conobbe una stagione di lunga pace e il Grand Tour visse quella che possiamo definire, senza enfasi, la sua età dell’oro, concludendosi poi con la campagna d’Italia (1796) del giovane Bonaparte, anche se un trauma violento l’aveva già subìto con lo scoppio della Rivoluzione francese.

Il viaggio nel ‘900

Molte invenzioni e scoperte, agli inizi del XX secolo, cambiano profondamente il modo di vivere e di percepire la realtà. Le distanze si accorciano con le prime automobili, aerei e transatlantici. La comunicazione a grandi distanze diviene facile con il telegrafo, la radio e il telefono. Si modificano i concetti di spazio e di tempo, dopo la scoperta delle “leggi della relatività” di Einstein. Il tema del viaggio assume quindi il valore simbolico della ricerca di sé stessi, dei meccanismi psichici, dei ricordi, delle emozioni e delle motivazioni dei comportamenti. Le opere letterarie di questo periodo, più che viaggi a lunghe distanze, descrivono percorsi, spostamenti, perché ciò che è importante non è “il viaggio esterno”, ma quello interiore che si svolge nella profondità della coscienza. Per i viaggiatori delle opere letterarie del ‘900 lo spazio si fa ristretto quanto più tortuoso, si fa il loro vagare psicologico ed emotivo. Essi sono spesso “viaggiatori di città”, che, camminando per le strade, sembrano stabilire una singolare relazione tra il paesaggio urbano e la propria interiorità. Il prototipo di questi viaggiatori è Leopold Bloom, protagonista del romanzo “Ulisse” di James Joyce.

Il viaggio del futuro

Ma il viaggio è tanto altro ancora: una fuga dall’orrore, un nuovo inizio, la ricerca di nuove opportunità di lavoro (oggi più che mai attuato), la creazione di uno scrittore. Oppure un ritorno verso le proprie radici più profonde. Dai viaggi in India degli anni ’70 per cercare le risposte, a quelli degli esploratori di tutti i tempi alla ricerca di tesori perduti, fino agli astronauti verso nuovi mondi. Insomma, di qualunque tipo sia la vostra esperienza (anche onirica), l’unica cosa che conta è godere del tragitto e non della meta. Perché, ha ragione Pessoa, i viaggi sono i viaggiatori!

Carla Cace

L'Autore

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