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Gianni Rodari

Guerra civile libica, social network e Kalashnikov

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TRIPOLI – Le dissennate partenze dei boat-people si moltiplicano, in un clima di totale anarchia quale quello della Libia di oggi. Le fazioni armate in lotta per la conquista del potere sono numerose, divise in una galassia solo in parte ascrivibile alla ormai tipica divisione tra religiosi e laici. Con l’ombra, tra i primi, di afferenti alla nebulosa dell’Isis anche a Tripoli, giusto di fronte all’Italia.

 

Libya_goodLa situazione in Libia è del tutto precipitata dopo il colpo di stato del generale Khalifa Belqasim Haftar, avvenuto il 18 maggio 2014 con l’occupazione del palazzo del parlamento a Tripoli da parte di soldati a lui fedeli.

Il generale aveva lanciato due giorni prima un attacco contro alcune milizie islamiche nella cirenaica non autorizzato dal governo centrale. Una di queste milizie, Ansar-al Sharia, per tutta risposta ha occupato Bengasi proclamando l’emirato islamico il 30 luglio. Ad un mese da allora, soprattutto a Tripoli sono in corso violenti scontri in particolare nella zona dell’aereoporto fra una milizia islamica chiamata Fajr Libya e altre milizie laiche. Lo scontro sembra dettato dall’esigenza di primeggiare nella conquista del nuovo potere, perché ambedue i fronti sono favorevoli al governo, sia pure con sfumature diverse nei confronti del generale Haftar.

Capita così che i militanti dell’uno o dell’altro fronte cerchino di interloquire con l’Italia, dirimpettaio sul mare tanto influente quanto, spesso, indolente. Per diffondere la loro comunicazione di guerra, le diverse milizie non esitano a ricorrere al web, e ad alcuni social network quali Twitter e LinkedIn, più in voga tra i professionisti e le classi dirigenti. E comuni tra i giornalisti. Ed è capitato a me: su LinkedIn il mio profilo di giornalista professionista risulta visitato da libici che non fanno troppo mistero della loro attività: in posa da combattenti, fotografati con mitra e kalashnikov, fanno bella mostra della loro discesa in campo, ragguagliando sul loro posizionamento politico e sulla loro dotazione armata. Di chi si tratta, e perché hanno scelto LinkedIn? Qui la verità è disarmante: si tratta di persone normali, in molti casi di funzionari, quadri dirigenti, laureati in ingegneria, economia e finanza. kalashnikovLa Libia è un Paese demograficamente limitato a poco più di tre milioni di abitanti, qualcosa in meno della nostra Toscana, per intenderci. Con reddito, istruzione e tasso di occupazione ben al di sopra della media del Nord Africa, anche grazie alle storiche ingenti risorse di idrocarburi. Nulla di strano quindi che a far parte dei tanti eserciti oggi contrapposti siano persone che fino a due anni fa vivevano la loro carriera di manager aziendali. E nulla di strano che gli stessi, già presenti su LinkedIn, Twitter e i social network di interesse professionale, utilizzino con familiarità questi stessi strumenti per far arrivare messaggi a reti di comunicatori che possono rivelarsi utili alla causa.

E’ il caso del direttore di dipartimento di uno dei principali istituti di credito di Tripoli, la National Commercial Bank,  un militante laico che mi invia tramite richiesta di amicizia le sue foto “in azione”: non presiedendo una riunione di top manager ma imbracciando il kalashnikov, dopo aver sistemato il caricatore in posizione di tiro. Ma c’è anche il fronte contrapposto. Ancora nel settore bancario, un altro top manager, al vertice della Jumhouria Bank che amministra su LinkedIn anche un gruppo privato, cioè ad ammissione riservata, dedicato alla “finanza islamica”, scrive nel suo status: “Sono impegnato nel trasformare la mia banca da un istituto tradizionale ad un istituto islamico attraverso la finalizzazione della Sharia Compliance per tutti i dipendenti” ; segue attuale incarico: Head of IT Islamic Transition Committee, comitato di transizione islamico per l’IT. E via scorrendo i profili degli amici, al posto delle foto delle vacanze ci sono quelle per le strade di Tripoli, Bengasi, Misurata e El-Azizia, con il passamontagna, il lanciamissili o semplicemente un abbraccio tra miliziani, che sorridono ad una sorte armata.

Aldo Torchiaro

 

 

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