Che ognuno avrà il futuro che si conquisterà.

Gianni Rodari

Teresa Albano, la mia vita per la cooperazione

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Non accennano a diminuire gli sbarchi di immigrati sulle coste italiane, malgrado il mare grosso di questo finale di dicembre. Ne arrivano a migliaia, tantissimi con la regia criminale pare di un egiziano, mercante di morte, in un Mediterraneo seminato di cadaveri.

La cooperazione come fonte di vita

Teresa Albano ha fatto della cooperazione la sua vita. Ora è in trincea in un’unità operativa dell’Osce, l’organizzazione internazionale con sede a Vienna che si occupa della promozione della pace, della giustizia, del dialogo politico e della cooperazione in Europa, alla quale aderiscono 57 Paesi. L’Italia vi aderì sin dal lontano 1973, quando ancora l’Osce non era un’istituzione stabile (lo sarebbe diventata ben 22 anni dopo), bensì una conferenza intergovernativa che si riunì per la prima volta a Helsinki, per ricucire gli strappi della guerra fredda.

Teresa Albano

Teresa Albano

Teresa Albano vi lavora da qualche anno, ma la sua particolare storia familiare l’ha dotata di sensori per comprendere quanti drammi, quanto dolore siano racchiusi nel cuore dei migranti. La famiglia Albano ha, infatti, origine napoletane, ma i capostipiti di una stirpe sarda, Vincenzo e suo figlio Francesco, si trasferirono ai primi del ‘900, a Macomer, in Sardegna, nel cuore dell’area della produzione del formaggio ovino.

La storia della famiglia Albano

Ebbero un tale successo che decisero di diventare esportatori negli Usa. Francesco volle curare personalmente gli affari aziendali oltreoceano, tant’è che creò una sede anche lì, oltre che a Caracas, in Venezuela. A Ellis Island c’è la sua documentazione d’entrata negli Stati Uniti. In più, nel 1919 fu fra i fondatori, insieme al finanziere Amadeo Giannini, della gloriosa Banca d’America e d’Italia: una targa nella vecchia sede di Manhattan ne testimonia la lista dei creatori di quest’Istituto di credito, oggi passato alla Deutsche Bank.

“Mio nonno – racconta Teresa – morì ad appena 39 anni, lasciando una moglie di Gragnano, Teresa de Rosa, sorellastra del famoso storico Gabriele de Rosa, e tre figli piccoli. Lei, pur prostrata dal lutto, non si arrese: divenne la prima donna capitano d’industria sarda, alleandosi col cognato: nacque così l’impresa ‘Albano e Di Trani’. Mia nonna diede tanto lavoro in paese, specialmente alle donne rimaste precocemente vedove come lei, di cui sapeva le difficoltà di sopravvivenza. Per un tragico destino, i primi due figli le morirono anche loro a 39 anni; unico a sopravvivere fu mio padre, Salvatore, che resse l’azienda fino al 1977. Nella tradizione di famiglia, profondamente cattolica, lui rispettava moltissimo  il lavoro dei suoi dipendenti, tant’è che, quando chiuse – e non per motivi di tracollo – li ricollocò tutti, uno ad uno.”

produzione caseariaUna famiglia con le antenne, quella degli Albano. La mia intervistata ci tiene a rimarcare che Salvatore, suo padre, non si ritirò per le solite storiacce di bancarotta: “Lui si era reso conto che, a causa di una politica italiana poco lungimirante in sede europea, l’intero comparto lattiero-caseario nazionale sarebbe presto entrato in crisi, anche a causa dell’accettazione suicida delle cosiddette ‘quote latte’. Mio padre decise la chiusura di sua sponte; dopo di lui i quattro o cinque imprenditori che costituivano il polo del formaggio ovino di Macomer furono costretti ad andare via. Noi cinque figli, insieme a mia madre, eravamo già sul ‘Continente’ sin dal ’68, per una tragica vicenda legata al banditismo sardo e all’industria dei rapimenti.”

Il nome di Salvatore Albano, infatti, pare che figurasse in una lista trovata in tasca ad un famoso bandito, allorché fu arrestato. “Mio padre rimase a Macomer, al timone dell’azienda, mentre, per tutelarci, preferì trasferirci a Roma. Mia sorella minore aveva appena 5 mesi. Oggi, per quell’istinto migratorio che sembra che tutti noi abbiamo nel sangue, vive a New York ed è cittadina americana. Ora che, nell’ambito dell’Osce, mi occupo di migranti, posso dire che comprendo le loro ragioni, perché mi appartiene il senso delle radici strappate: anche quando siamo arrivati a Roma, talvolta l’accoglienza non è stata calorosa. Ciò alla fine ti rende consapevole che le radici devi ricercarle solo dentro di te; ritengo che questo rappresenti un punto di forza, offrendoti una flessibilità, una capacità fortissima di costruire legami empatici, ovvero un àtout per il mio lavoro”.

La seconda vita di Teresa Albano

Teresa Albano è diventata, sul campo, un esperto di migrazioni e dei diritti umani dei migranti. Per un biennio ha insegnato all’Università ‘La Sapienza’ di Roma ‘Diritti umani e strategie per la cooperazione internazionale’. Eppure, a vent’anni, non immaginava di fare questo lavoro-missione: “Per dieci anni, fino alla trentina, ho fatto la pianista, dopo il diploma in composizione sperimentale al Conservatorio romano di ‘Santa Cecilia’. Negli anni ’80, col mio gruppo ‘Tre civette sul comò’ ho viaggiato per l’Italia, con numerose tournée, suonando jazz e rock dallo Zelig di Milano fino ai night di Lampedusa, non ancora meta dei migranti.

“Ad un certo punto,  – prosegue – ho capito che il mondo sarebbe sopravvissuto senza la mia musica: il mio compagno è chitarrista e due musicisti in famiglia sono troppi! Ho guardato nel cassetto, trovandovi una laurea in legge con specializzazione in diritto internazionale. Mi son chiesta: ‘Cosa mi piace fare di più?’ La risposta è stata immediata: ‘So occuparmi degli altri con le note e con il cuore’ e  ne ho fatto un lavoro. Ci vuole disciplina sia per fare musica, sia per realizzare un mandato internazionale. L’esordio in questo settore è avvenuto casualmente.”

cooperazioneUna circostanza fortunata ha fatto incontrare Teresa con un suo fan che lavorava col Focsiv – Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario -, una Ong in cerca di una ricercatrice in materie giuridiche. Si è presentata alla sede dell’Ong e, pur non avendo esperienze pregresse, l’hanno immediatamente presa nella loro organizzazione.

Un lavoro al servizio degli immigrati

“Dopo il Focsiv – spiega – ho lavorato all’Ucsei, che si occupa di studenti stranieri in Italia; dopodiché, per 14 anni, dal ’99 al 2012, ho fatto parte dell’Oim – Organizzazione Internazionale per le Migrazioni –, Agenzia intergovernativa, con sede centrale a Ginevra che, dal 1951, svolge il mandato di assistere le migrazioni internazionali e il cui impegno è andato crescendo in maniera esponenziale, specie dopo il 1989, dopo la caduta del Muro di Berlino. Ho svolto missioni nei Balcani, in Europa orientale, Moldavia, Romania – prima che entrasse nell’Ue -; fra il 2006 ed il 2011 ho agito fra Nigeria, Marocco e Libia; durante la crisi libica ero al confine fra Libia e Tunisia, in una lingua di terra di nessuno, nello Choucha Camp, che ha accolto i fuggiaschi dai bombardamenti libici e non solo.”

L’ultimo cambiamento di scenario, per Teresa, è piuttosto recente. “Alla fine del 2012 ho saputo di un’opportunità all’Osce, a Vienna, nell’ufficio dello ‘Speciale Rappresentante per la lotta alla tratta degli esseri umani’, carica all’epoca ricoperta dall’italiana Maria Grazia Giammarinaro, poi sostituita dall’ambasciatrice kazakha Madina Jarbussinova; da agosto, pur rimanendo in ambito Osce, lavoro presso l’Ufficio del Coordinatore per le attività economiche e ambientali, impegnato sul versante della gestione delle migrazioni, l’ex ministro dell’economia turco Halil Yurdakul Yigitguden. L’anno prossimo una delle nostre priorità saranno le migrazioni e ci stiamo preparando a lanciare iniziative che sviluppino il dialogo intergovernativo su questo tema.”

Annamaria Barbato Ricci

L'Autore

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