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Gianni Rodari

Ridistribuire reddito e ricchezza ai singoli stati

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Nel precedente articolo abbiamo visto come la ricchezza tenda sempre più a concentrarsi, e che il fenomeno sia valido non solo nel complesso ma anche all’interno dei sottoinsiemi considerati, cioè all’interno di gruppi di famiglie con livelli di ricchezza più omogenei. A causa della globalizzazione economica la politica di un singolo stato ha visto ridursi pesantemente i propri spazi di intervento per riequilibrare la distribuzione del reddito tra le classi sociali. È oggi molto complesso intervenire sulla distribuzione del reddito tra salari rendite e profitti, e questa è una della cause della sempre maggiore concentrazione del reddito e della ricchezza in poche mani: le aziende sono multinazionali e gli stati sono rimasti nazionali.

Per poter attuare politiche redistributive efficaci è necessario che le imprese tornino ad avere la dimensione nazionale (questa è stata la risposta delle società negli anni venti ma è costata due guerre mondiali e milioni di morti) oppure che si sviluppi un potere politico sovranazionale che si possa confrontare con le imprese multinazionali da pari a pari. L’Unione Europa è un tentativo in questa direzione ed è per ora un mezzo fallimento. Basti l’esempio della supertassa sui ricchi introdotta da Hollande in Francia e facilmente elusa da Gerard Depardieu andando a vivere in Belgio a pochi chilometri da Parigi. Come impedirglielo? Figuriamoci con multinazionali come Apple, Google e Amazon che sfruttano la competizione fiscale tra gli stati dell’Ue per pagare le imposte nel paese (Irlanda) che ha l’aliquota più bassa.

Tuttavia alla politica nazionale sono rimasti dei margini di manovra redistributiva nei confronti degli individui che non possono facilmente trasferire la propria residenza, lavoro e ricchezza al di fuori dei confini nazionali. E questi rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione, del reddito e della ricchezza nazionale. È la struttura di potere economico, sociale, culturale e giuridico della società che determina la distribuzione del reddito e della ricchezza. Diritti diversi determinano redditi e ricchezza diversi. In tema di pensioni ci sono diritti diversi tra diversi gruppi di cittadini, gruppi definiti in questo caso soprattutto in base all’età dei soggetti, che sono ingiusti e il cui cambiamento potrebbe avere degli effetti positivi sulla crescita del Pil per effetto della propensione alla spesa, tanto più elevata quanto più il soggetto è povero e giovane.

L’articolo della scorsa settimana si chiudeva affermando che per redistribuire reddito e ricchezza in Italia sarebbe necessario redistribuire i diritti, i diritti pensionistici e quelli del lavoratore a tempo indeterminato conquistati ed assicurati in passato sulla base di ipotesi di crescita demografica e del Pil, poi smentite dai fatti. Il mantenimento di queste garanzie è fatto a spese di chi ne è escluso: i giovani sotto i 35 anni che sono disoccupati quasi al 50% oppure hanno lavori precari a basso salario, e chi dai 40 anni in su ha perso il lavoro e vede il momento del proprio pensionamento lontano anni luce.

Redistribuire i diritti del lavoro, gli ammortizzatori sociali e i criteri di calcolo della pensione risponde a criteri di equità e di saggia politica economica, ed è una cosa di sinistra. L’idea che esistano diritti economici acquisiti a dispetto del buon senso e della collettività non è per niente di sinistra, è puro egoismo corporativo. Questi interventi andrebbero fatti a parità di costo complessivo per ragioni di equità, mentre è molto dubbio che abbiano una efficacia nel ridurre la disoccupazione, che dipende da fattori di domanda effettiva piuttosto che da fattori di costo.

Mario Zanco

L'Autore

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