Quando si respira aria internazionale sin dall’infanzia, si ha una marcia in più. Così è stato per Elvira Gaeta, nata in provincia di Salerno, ma che non si è fatta influenzare più di tanto dalle negatività di quella che un grande scrittore quasi conterraneo, Michele Prisco, chiamò ‘La provincia addormentata’. Accanto alla propensione per una visione esistenziale internazionale (una qualità che le viene dal padre, Giuseppe, manager nel settore agroalimentare), poi, Elvira è fornita di un baule di determinazione (virtù materna, dimostrata dalla capacità della signora Pina Scognamillo-Gaeta, orfana quasi adolescente, di farsi responsabilmente capofamiglia e offrire un futuro ai suoi fratelli minori), elemento rivelatosi indispensabile per realizzare un progetto di vita in grado di farle prendere il volo. L’alternativa, rifuggita da Elvira, era la palude delle vasche “avanti e indre’” per il Corso cittadino, unico orizzonte praticato da molte sue coetanee (ma non da tutte). Grazie a questi elementi caratteriali, la carriera di Elvira ha toccato molte tappe prestigiose, consentendole di essere presente in momenti in cui si è scritta la storia, e non solo del commercio internazionale.
“A casa hanno sempre fatto capo partner di affari stranieri di mio padre – racconta Elvira – A differenza di quanto accadeva nella “provincia” italiana nella mentalità ricorrente per una figlia “femmina”, mio padre mi ha abituato, ad esempio, ad andare all’estero, mi ha sostenuto nell’apprendere le lingue. Per i miei genitori l’importante era che ampliassi i miei orizzonti culturali. Avevo una certa libertà di movimento, a differenza delle mie coetanee e ricambiavo la loro fiducia, mantenendo la barra dritta nello studio. Mio padre non m’impedì (nonostante temesse che io smettessi di studiare per questo) neanche di dedicarmi alla danza classica, arte che adoravo. Ho conseguito il diploma e per qualche tempo l’ho anche insegnata, consapevole che quello non sarebbe stato il mio destino. Studiavo all’Università e nel contempo praticavo la danza. Un tour de force, ma lo facevo con passione, dunque non sentivo la fatica.”
Ora però, riavvolgiamo il filo dei ricordi. Partiamo dall’infanzia.
Ho imparato sin da allora il valore dell’autonomia. La nostra casa era un crocevia internazionale, in un paese della provincia meridionale. Mio padre era amministratore delegato di una grande azienda conserviera, la Fratelli Gambardella, poi divenuta ‘La Romanella’, ad un certo punto della sua storia persino più ampia della Cirio. Ricordo che ci raccontava tante cose di questo suo lavoro che lo portava in giro per il mondo: ad esempio, di quella velocissima ricerca, nei negozi di Teheran, di uno smoking da indossare per un’improvvisa cena con lo Shah Reza Palhavi. Un ritmo stressante il suo, che gli procurò persino un infarto a 37 anni; forse fu causato da un’avventura che, pochi mesi prima, si era intorno al ’66, lo portò dinanzi ad un plotone di esecuzione a Beirut, in Libano. Erano i primi tempi in cui quella che era stata la Svizzera del Medio Oriente, si stava trasformando in un inferno di fazioni avverse. Lui, piuttosto chiaro di carnagione, fu scambiato per ebreo; lo stavano già preparando per l’esecuzione, quando, aprendogli la camicia, si accorsero che aveva la catenina col crocifisso d’oro che lo scagionava. Era distrutto, quando tornò; tormentato dal pensiero della moglie e dei suoi tre figli piccoli, di cui il terzo di pochi mesi.
Come iniziò la tua carriera?
Dopo la licenza liceale classica, mi sono iscritta a Giurisprudenza all’Università ‘Federico II’ di Napoli, scegliendo l’indirizzo per carriere internazionali, senza però trascurare di affrontare e superare l’esame per l’abilitazione alla professione di avvocato. Ho affinato le mie conoscenze sul versante del diritto e dell’economia internazionale grazie a una borsa di studio all’Università di Grenoble, al corso SIOI di Napoli e un Master a Genova. Furono i titoli che presentai per affrontare il Concorso per Consigliere al Ministero del Commercio Estero: su oltre 400 concorrenti, lo superammo in sei. Era il 1988.
Una selezione durissima.
Contava anche molto la conoscenza fluente delle lingue scritte e parlate: a luglio presi servizio; a settembre già mi trovavo in trincea, in negoziati per il commercio estero a Bruxelles.
I Paesi CEE allora erano nove, era già piuttosto complesso. E, l’anno dopo, ci fu la caduta del muro di Berlino. Il ministro al Commercio con l’Estero del Governo De Mita era Renato Ruggiero, in quota PSI. Fui trasferita alla DG Accordi Commerciali col direttore generale Giovanni Sardi de Letto e, negli anni successivi, affrontammo complessi negoziati di accesso alla CE dei Paesi di nuova democrazia. Fummo anche dei rompighiaccio commerciali. La prima delegazione di un Paese Ue a recarsi in Romania, tre mesi dopo la caduta di Nicolae Ceausescu, avvenuta nel dicembre ’89, fu la nostra, nel marzo 1990. Portammo con noi 52 imprenditori italiani, insieme con la Simest, la società statale per la creazione di aziende miste all’estero, appena fondata. Oggi in Romania esistono almeno 20mila aziende con partecipazione italiana, di cui la metà attive.
Avete, dunque, aperto molte porte.
Sì, ad esempio con l’Albania del post Oxha: erano talmente a digiuno di economia di mercato che, nel condurre i negoziati, dovemmo trasformarci anche in loro consulenti. In Cina, nel luglio ’90, con l’egida dell’Ambasciatore Oliviero Rossi, abbiamo stretto il primo accordo di collaborazione economico, dopo i fatti di Piazza Tienanmen. Molti gli accordi bilaterali che ho negoziato e parafato, pronti per la firma del Ministro pro tempore. Per portare a casa i risultati auspicati, è importante avere una solida preparazione della posizione italiana sostenuta da analisi dell’Ufficio Studi dell’ICE, nonché da una concertazione con tutti i settori economici italiani coinvolti nel negoziato.
Una carriera sempre in ascesa, la tua.
Non mi ha pesato dedicarmici con passione e interesse. Un vero tourbillon è stata la Presidenza di turno dell’Italia al Consiglio europeo, nel ’94, dove ho presieduto alcuni gruppi negoziali. Ma gli anni più belli sono venuti successivamente.
Quando?
Quando arrivò Piero Fassino come Ministro e Stefano Sannino come Consigliere Diplomatico e Capo Segreteria Tecnica; io divenni suo vicario. Furono i tre anni più belli in assoluto. Ottenemmo dei risultati incredibili. Ricordo la Conferenza del WTO (World Trade Organization) a Seattle: portammo una delegazione di una cinquantina di persone che comprendeva un ampio arco delle parti sociali; non solo le organizzazioni datoriali, ma anche i sindacati e gli ambientalisti. Festeggiai lì i miei 40 anni e ricordo gli aquiloni del movimento no-global che muoveva i suoi primi passi, uno spettacolo ben diverso dal muso duro dei Black Bloc. Quel negoziato, purtroppo non andò a buon fine, e si congelò la politica agricola, così importante per l’Italia. Gli interessi erano altri, finanziari, come poi i fatti economici successivi hanno dimostrato con la bolla finanziaria degli anni 2000 e poi la crisi.
Cosa ti hanno insegnato questi anni di intenso lavoro?
Che ogni volta che c’è un negoziato commerciale portato a buon fine, con conseguenti aperture all’interscambio, c’è sempre una crescita del Prodotto Interno (PIL) per tutti, ma proprio tutti i Paesi firmatari. Nella storia economica, questa è una regola mai smentita. In passato si diceva: dove passano i mercantili, non passano i cannoni. Ciò è ancora più vero per un Paese come l’Italia, carente di materie prime atte a sostenerne sia la produzione, sia la crescita: per noi è vitale mantenere alto il livello delle esportazioni. E per fare ciò, in particolare dal 2000 ad oggi, in uno scenario economico ormai completamente globalizzato, è necessario un sistema-Paese che sostenga le imprese italiane che s’insediano e amplino il loro raggio d’azione all’estero.
Negli anni successivi, hai proseguito il tuo cammino?
Sì, ho lavorato come Consigliere economico con Enrico Letta ministro e Stefano Sannino capo di Gabinetto e poi come vicecapo di Gabinetto vicario per il Commercio con l’Estero del Ministro Marzano. Di quel periodo ho un ricordo particolare riferito al fatidico 11 settembre 2001. Eravamo alla cena ufficiale della conferenza UE-ASIA ad Hanoi, nel Vietnam del Nord; vi partecipavano politici, diplomatici, imprenditori. Erano le 21:00, corrispondenti alle 09:00 del mattino a New York. D’improvviso si misero a squillare i telefonini, ma non si rispondeva per motivi di etichetta; finché, insospettiti dall’insistenza, qualcuno rispose e sapemmo delle Due Torri. Ci trasferimmo in una sala TV per seguire gli eventi e mi colpì molto vedere in lacrime i camerieri vietnamiti alle scene di distruzione trasmesse. C’era stata una guerra fra Usa e Vietnam del Nord, ma era una tragedia epocale e quelle lacrime la simboleggiavano.
E poi?
Fra il 2003 e il 2005, sono stata nominata esperto presso la Rappresentanza italiana a Bruxelles, avendo l’occasione di collaborare con due ambasciatori straordinari, seppure di carattere diversissimo: Umberto Vattani e Rocco Cangelosi. Ottenemmo un risultato straordinario in ambito SPG, riuscendo a mantenere i dazi all’importazione su prodotti cinesi e indiani. Era un risultato non scontato, in un negoziato in cui l’UE doveva contemperare le posizioni di 24 Paesi.
Successivamente c’è stato il tuo periodo ‘Emma’. Un ciclone… chiamato Emma.
Un ciclone che ammiro profondamente sia politicamente che come persona, un ciclone che è tale anche in questo suo periodo difficile. Sono stata capo segreteria del sottosegretario Milos Budin, con la ministra Bonino. Un altro periodo entusiasmante. Poi, col Governo Berlusconi del 2008, ho accettato l’incarico all’Unità di valutazione per gli investimenti pubblici, ovvero all’organismo che accompagna le Regioni nella gestione dei Fondi europei. Da due anni e mezzo infine, anche per motivi personali, ho accettato un’offerta molto interessante, quella di diventare la responsabile dell’Ufficio Formazione del Ministero dell’Economia e Finanze, e, più di recente, di componente del Comitato Agevolazioni della Simest, su indicazione del MEF.
Tutto dovere e niente divertimento, dunque, per Elvira?
Il mio lavoro mi piace e non mi è mai pesato, ma ho altri interessi: un impegno che mi appassiona, è attualmente quello di Presidente della Club Roma Tiber del Soroptimist. Credo nell’emancipazione femminile, che è un processo non ancora compiuto e va continuamente presidiato affinché non ci siano marce indietro. Le donne soroptimist hanno interessi molteplici e diversificati, e sono molto attive nella società. Non dimentico, poi, il mio amore per i viaggi e la passione per il mare, la barca, la vela. Sono soddisfatta di aver costruito la mia vita grazie ai precetti affidatimi come un testimone dai miei genitori: cultura, apertura mentale, curiosità, attenzione verso l’altro.
Annamaria Barbato Ricci